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Rovereto. XXVI Festival Internazionale W. A. Mozart 2013. Il catalogo è questo
Nella città trentina che inaugurò il primo concerto di Mozart in Italia nel 1769, Rovereto, si è svolto il XXVI Festival Internazionale W. A. Mozart dall'11 al 25 agosto scorsi, con una kermesse di tutto riguardo a cominciare dal primo concerto tenutosi nella Corte del Palazzo di Giustizia di Rovereto lungo Corso Antonio Rosmini, filosofo e sacerdote italiano (1797-1855) che per forti posizioni anti-austriache fu esiliato dal Trentino e stimato da personalità del calibro di Alessandro Manzoni, Niccolò Tommaseo e Vincenzo Gioberti. Diretto da Angela Romagnoli e presieduto da Paolo Mirandola, il Festival si è aperto in pieno spirito mozartiano il 17 agosto con un'Orchestra praghese, la Bum, ed un programma tutto dedito a celebrare il salisburghese.
Il Festival Mozart si è inaugurato a Rovereto sabato 17 in una serata di stelle con un'orchestra di eccezionale talento di professionisti ed amatori: l'Orchestra da Camera BUM di Praga (Bumův komorní orchestr in lingua ceca) è stata diretta da un giovane Lukáš Kovařík, di 26 anni, orchestra che con lui ha debuttato sul suolo italico, accompagnato dalla giovane voce sopranile di Eva Kývalová, proveniente dalla Moravia centrale e dal baritono Martin Vodrážka. Il programma, tutto dedicato al nume tutelare del festival, ed in particolare quest'anno alla Voce, ha previsto un'esecuzione della famosa “Piccola”, la Sinfonia n. 25 in Sol maggiore KV 183 per intero; seguita per le voci dalle arie e duetti da Le nozze di Figaro, Così fan tutte e dal Don Giovanni.
Nonostante spesso il vento soffiasse forte sugli spartiti arrischiando di farli volare via insieme alle note, l'Orchestra Bum - orchestra fondata da Petr Verner nel 1994, di ampio repertorio, da Purcell a Nielsen -, guidata con sicurezza dal Maestro Kovařík, ci è sembrata non solo preparata e specificamente intensa nei legati, ma anche nell'attacco principale ha dimostrato di riuscire ad operare prontamente sulle direttive perentorie del giovane direttore, che si è manifestato coinvolgente nelle parti ritmiche e di respiro, elargendo calore e coinvolgimento, e perfettamente energico nelle riprese. Solo nell'Andante e nelle parti più genuinamente liriche e lente, la sua età lo ha forse proditoriamente messo in difficoltà, sempre però con la promessa di un futuro talento espressivo e cangiante nel tempo. La soprano Eva Kývalová, dalla voce aggraziata e di tenuta sulle parti anche ardue di Fiordiligi in “Come scoglio immoto resta”, è stata affiancata da un baritono non allo stesso livello con cui ci ha regalato in ogni caso in bis il duetto Papageno Papagena da Il flauto magico.
Il secondo concerto allestito in programma è una conoscenza molto presente nella Capitale, e dalle variazioni incredibili per repertorio e stili: Maria Pia De Vito, accompagnata da Claudio Astronio alle tastiere, ha offerto in Piazza Malfatti, e gratuitamente al pubblico tutto, la serata tutta imperniata sulla voce del 18 agosto sera. Nella modulazione e nella reintrepretazione di brani da Mozart a Björk, una kermesse voluta insieme al Direttore Artistico del Festival Mozart, Angela Romagnoli, ha costruito un concerto unico che con il sottofondo dell'organo e del clavicembalo di Astronio è partita dalle sue origini napoletane, in una rilettura di un Anonimo del '500, solo strumentale, per una parentesi mozartiana di grande livello.
La De Vito ha affrontato infatti da Die Alte, il Lied “Zu meiner Zeit, zu meiner Zeit” in modo sublime, e dopo Britten, la Corpus Christi Carol da A Boy Was Born, nella rilettura di Jeff Buckley, con la voce in “andante” e sfondo musicale cembalistico di Onofrio. L'intervallo che segue è barocco e molto contrappuntato ed agile, un assolo strumentale alle tastiere di Onofrio, cui segue Upon la Mire di Thomas Preston, tratto da un manoscritto ritrovato alla British Library: un ground (possiamo tradurlo come pattern melodico: di solito si parla di basso ostinato in italiano o ground bass, intese come danza come la bergamasca per esempio o nel barocco le più celebri ciaccona e passacaglia) senza testo su cui la voce di Maria Pia De Vito si inerpica con variazioni di estrema coloritura e gittate nel jazz. Un prototipo per tutti, la Cathy Barberian sperimentatrice che si rifà viva anche nel pezzo contemporaneo tratto da Björk e rielaborato dalla nostra cantante napoletana che sullo spagnolo Jesu Dulcis Memoria approfondisce le virate metafisiche di intensità religiosa. Dopo la ciacciona da sola di Onofrio, un brano di Philip Glass, straordinariamente reinterpretato in voce non in senso minimalista come vorrebbe la versione originale, stupisce per la ricchezza ancora del cantato come anche nell'emozionante Ancor che col partite. L'ultimo Lied di Mozart chiude la serata: “An die Einsamkeit” (Alla solitudine) su testo di Johann Timotheus Hermes, di estremo pregio e con grande favore del pubblico.
La terza serata del 19 agosto ha visto, nella sala cinema del MART, la proiezione di uno dei più cvontroversi e giustamente celebrati film del Don Giovanni di Mozart, opera di per sé ricca di spunti e centrale per uno scorcio politico-storico che, di lì a due anni dalla composzione, il 1787, avrebbe portato alla prima grande rivoluzione popolare: quella francese, sovvertendo ordini sociali e di senso.
Joseph Losey dirige il film, con le voci in presa diretta di Ruggero Raimondi per Don Giovanni; Edda Moser per Donna Anna; Kiri Te Kanawa per Donna Elvira; José Van Dam in Leporello; Teresa Berganza per Zerlina e Kenneth Riegel per Don Ottavio: un cast stellare, mentre la registrazione della musica è quella precedente dell'Orchestra di Parigi diretta da Lorin Maazel. Per un regista innovativo come Losey che non conosceva l'opera si presentava arduo il progetto, ma oggi possiamo dire che non ha perso né il suo smalto, né tantomeno la profondità di lettura psicoanalitica del personaggio, introducendo quasi subito il suo doppio in ombra, il giovane sosia valletto, più inquietante, in quanto non esprime parola, del Don Giovanni, gigantesca Ombra di sé stesso.
Le atmosfere palladiane colpiscono quanto le ville venete cui si giunge per acqua, e l'elemento femminile delle due donne tradite e violentate nel corpo e nell'anima, che con una maschera sul volto insieme al fedele Don Ottavio, sono esse stesse difese dalla luna che non copre i misfatti del catalogo di Don Giovanni-lupo divoratore di donne di cui lacera il cuore e la reputazione; bensì, ne evidenzia l'incommensurabile vuoto dovuto alla prima grande perdita, la madre, insostituibile daimòn che costringe il libertino a conquiste coatte per una perdita ed un abbandono eternamente insanabili. Lui, che a differenza di Casanova, non ha mai amato una delle sue donne, scenderà nell'abisso che richiede ogni volta che lede la vita altrui e ne fabbrica inganno dopo inganno, la tela inverosimile; in quella fornace che si nota all'inizio tra i bagliori della fabbrica di vetro, cuocerà col primo delitto, tra le fiamme che Mozart con l'intervallo di settima discendente e la voce di Leporello, gli ha intimato di credere (e cedere) tra un'altalena di conquista ed un'altra.