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Santa Cecilia. Buchbinder tratteggia l'intarsio di attese di Brahms
L'Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha offerto un concerto tutto dedicato a Johannes Brahms, con un teutonico della statura di Rudolf Buchbinder al piano solista, e Louis Langrées direttore a sostituire Jurij Temirkanov per problemi di salute. La Sinfonia n. 4 ed il Concerto n. 2 in si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 83 di Johannes Brahms sono stati i protagonisti di tre serate dal 12 al 15 aprile 2014 presso la Sala Santa Cecilia del Parco della Musica di Roma.
Rudolf Buchbinder, nato a Leitmeritz, Cecoslovacchia, nel 1947, è un pianista austriaco, nonché direttore d'orchestra, che ha studiato con Bruno Seidlhofer e regolarmente incide da Mozart a Brahms soprattutto durante i suoi live, sia con la Filarmonica di Vienna, sia per il Festival di Vienna. La sua incisione delle 32 sonate per piano di Beethoven è stata registrata alla Semperoper di Dresda ed edita da RCA – Sony. A Santa Cecilia con Sawallisch nel 2005, Buchbinder si è avviato con sicurezza al Concerto n. 2 in si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 83 di Johannes Brahms (1833-1997), composto a partire dal 1878, uno dei concerti più complessi in termini assoluti, in cui la parte del pianista – e del violoncello solista, in questo caso l’eccellente Luigi Piovano – richiede, oltre ad un estremo virtuosismo, una coloritura d’interpretazione mistico-trascendentale ed una raffinatezza d’esecuzione in piena collaborazione con l’orchestra. In questo senso si è svolto il concerto di Buchbinder, che con Louis Langrées alla direzione si è trovato abbastanza in afflato, tempestando la tastiera con fraseggio cristallino e aulico. La prima assoluta fu a Budapest il 9 novembre 1881 con Brahms stesso al pianoforte e Alexander Erkel direttore.
Nel primo dei movimenti, Allegro non troppo in si bemolle maggiore, viene subito esposto un tema lirico in modo audace e portante: al corno fa eco il pianoforte che esplode in un idilliaco percorso che, nel secondo movimento – quello in più rispetto al Concerto n. 1 -, l'Allegro appassionato in re minore, ovvero lo Scherzo, diviene ancora più alare, acquistando un ampio respiro reso evidentissimo dagli archi con fraseggi sublimi e raffinati al piano. Il terzo movimento, l’Andante in si bemolle maggiore e fa diesis maggiore, fa pizzicare la tastiera in modo semiestatico e più lento dei precedenti: è qui che la melodia liederistica si intensifica e dove il violoncello solista di Piovano, coordinandosi col pianoforte, sprona la coloritura trascendentale del suono. Il più ritmato dei movimenti, l’ultimo Allegretto grazioso in si bemolle maggiore, esibisce un elegante lirismo sinfonico quasi da rapsodia ungherese, siglato da un refrain ripreso ed allargato. Questo rondò-sonata chiude allegramente canzonatorio un concerto allietato da una completa acclamazione da parte del pubblico. Un’eccelsa versione da confrontare con quella del 1985 con al piano Daniel Barenboim e Sergiu Celibidache a dirigere la Philharmonie di Monaco.
Al “bosco intricato” (cit. Paolo Marzo) di Brahms, che con eccellenza scrive le sue sinfonie, si deve accedere con non meno misurata sicurezza, ovvero su un sentiero dove si è irreprensibilmente guidati da andatura fida e con destrezza inappuntabile piegata alle direzioni, e agli scarti, via via che si presentano.
La Quarta Sinfonia in mi minore op. 98 fu l'ultima delle sinfonie di Brahms e fu terminata nel 1885 (la stesura dello spartito durò circa un anno), anno della prima esecuzione a Meiningen con la direzione di Hans von Bülow. Con la finis Austriae alle porte, la sinfonia, che conclude il ciclo austro-tedesco classico, si prospetta in modo epico e solenne, quanto minuziosamente dettagliato nella sua operosità musicale: siamo di fronte ad un massiccio lavoro che si fa compenetrare tanto da Bach che da Beethoven, giungendo a rappresentare il romanticismo tedesco nelle sue innumerevoli sfumature.
Il primo movimento, Allegro non troppo, si racchiude intorno ad una forma-sonata con l'esposizione dei temi più rilevanti e malinconicamente lirici, che cresceranno poi nel respiro orchestrale. L'attacco inziale presenta subito il motivo più celebre, che Langrée fa rilevare misuratamente e con eleganza: qui sono i violini ad esporre ampiamente il vertiginoso processo che si avvia in tutta la sua ampiezza dal principio. Il secondo motivo è esposto invece dai fiati, quasi una marcia, che poi diventa melodia con l'intervento di corni e violoncelli. Suggestivo, dopo un altro sviluppo tematico dei fiati accompagnato dagli archi, l'eco delle trombe sul tema successivo, e prima della coda che prenetoriamente conclude sugli archi.
Il secondo movimento, Andante moderato, introdotto dai corni soli, è misterico e lirico: fa “riflettere” l'intera orchestra nella ripresa del primo motivo che ritorna con maggiore speranza ed una lieve sfumatura malinconica, per poi distendersi e prendere respiro. Il terzo movimento Allegro giocoso, è in realtà uno Scherzo brioso, sia nell'approccio sia nel modo di dispiegarsi, particolarmente efficace nelle parti accese e quasi ironiche: le percussioni acquistano luce e rivelano la loro grandiosità nel finale. Il quarto movimento, Allegro energico e appassionato, rappresenta l'apoteosi brahmsiana: perentorio con maggiori stacchi, trenta variazioni, e parti sincopate, propone un intarsio di attese. La passacaglia è ben udibile ed il tema è maestoso: la sezione lirica è lanciata inaspettatamente e l'Orchestra acquista in potenza. Le otto battute che si ascoltano in principio sono prese dal tema della ciaccona nel finale della cantata di Bach, Nach dir, Herr, verlanget mich, BWV 150. Altri cenni importanti sono a Beethoven, mentre l'uscita dal bosco intricato di sinfonismo classico e contrappunto barocco conduce al gigantismo di un'opera in cui la dialettica è il segnale produttivo di un'intera epoca.