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Santa Cecilia. Un cast d'eccezione per la Petite Messe di Rossini
La Stagione di musica da camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si è aperta con l'esecuzione dell'ultimo straordinario capolavoro di Gioachino Rossini, la Petite Messe Solennelle, salutata da un travolgente trionfo tributato agli interpreti dal pubblico esultante che affollava la sala Santa Cecilia.
Si è scelto di eseguire il tardo capolavoro del musicista pesarese, per celebrare una importante ricorrenza, i 150 anni dalla morte di Rossini (1792-1868). Dopo il Guillame Tell (1829) eseguito a Parigi, il compositore non scrisse più nulla per il teatro musicale, ma continuò a comporre musica da camera, tra cui i noti Péchés de vieillesse, e sacra tra cui due formidabili capolavori: lo Stabat Mater, composto nel 1841, e la Petite Messe Solennelle, scritta nel 1863 cinque anni prima della morte, un ultimo peccato di vecchiaia, secondo la definizione che compositore dava ai suoi lavori di età senile.
La Petite Messe Solennelle fu composta e dedicata alla contessa Louise Pillet-Will, moglie del banchiere Pillet-Will; il 13 marzo 1864 si svolse la prima esecuzione, che fu in forma privata, il giorno dopo si svolse la prima pubblica che ebbe una replica il giorno dopo. La composizione è per due pianoforti, il secondo raddoppia il primo, e l' armonium, con un coro di dodici cantanti, che allora furono scelti tra i migliori studenti del Conservatorio, cui si aggiunsero i quattro solisti che furono le sorelle Carlotta (soprano) e Barbara (contralto) Marchisio, Italo Gardoni (tenore), primo interprete de I Masnadieri (1847) di Verdi, e Luigi Agnesi (basso). Al pianoforte suonarono Georges Mathias, che era stato allievo di Chopin, e Andrea Peruzzi, mentre il diciottenne Albert Lavignac, suonò l’armonium, furono diretti dal maestro Choen. Tra le persone invitate ci furono Meyerbeer, Thomas e Auber, che scelse i coristi.
La Petite messe solennelle ottenne grande successo e fu replicata altre due volte, ma il manoscritto rimase in mano alla famiglia della dedicataria e solo recentemente Philip Gossett (1941-2017) riuscì a rintracciare gli eredi e avere una copia dell’originale. La Petite Messe Solennelle fu così eseguita per la prima volta in tempi moderni al Rossini Opera Festival di Pesaro nel 1997. La versione orchestrale, che lascia uguali le parti cantate, fu realizzata a malincuore dallo stesso autore, per evitare che qualcun altro la facesse in sua vece in quello stile grandioso romantico che tanto detestava. In questa versione la Petite messe solennelle fu eseguita al Théatre des Italiens di Parigi, il 24 febbraio 1869 e si diffuse ottenendo un grande successo; in passato era l’unica conosciuta fino al ritrovamento di Gossett. Il nome della composizione, così come fu concepita da Rossini, indicava due aspetti, petite (piccola) per il carattere cameristico, mentre solennelle (solenne) per il fatto che era messo in musica tutto l’ordinario, Credo compreso, a cui si aggiungono il Prélude religieux, da suonare al pianoforte prima del Sanctus, e l’inno eucaristico O salutaris hostia.
Nella partitura confluiscono diverse forme e caratteri compositivi, quelli religiosi nei i cori “a cappella” del Christe eleison nle Kyrie e del Sanctus, con echi della polifonia di Palestrina, ma anche un contrappunto che evoca quello di Bach, nel Prélude religieux e nelle complesse fughe corali presenti in Cum Sancto Spiritu e in Et vitam. Il musicista, infatti, da molti anni si era abbonato all’edizione critica dell’opera completa del Kantor. Non solo il passato viene rielaborato ma nella composizione, ci sono anche i cromatismi che indicano quanto Rossini fosse al corrente delle novità wagneriane, le armonie insolite e l’inusuale e ristretto organico, preferito alla versione orchestrale. La scrittura pianistica asciutta e scabra, lontana da quella romantica tempestosa e flamboyant sono caratteristiche che anticipano le novità del secolo successivo, una scrittura che aveva avuto come palestra proprio i Péchés de vieillesse, naturalmente non mancano nelle arie, e non solo, echi delle forme operistiche.
Ad interpretare questo mirabile capolavoro è stato chiamato come concertatore al pianoforte principale il maestro Michele Campanella, che ha evidenziato le caratteristiche della affascinante scrittura pianistica, messa anche in luce dal magnifico suono dei due pianoforti grancoda della Fazioli. Campanella è un interprete attento e sensibile di Liszt di cui ha sottolineato nelle tarde composizioni il preannuncio del secolo successivo, la stessa cura e sensibilità è stata dedicata a Rossini. Buona la prova del coro, che riveste una parte non marginale nella partitura.
Un sontuoso cast composto da belcantisti di primo ordine ha completato la locandina; Mariella Devia è un miracolo di freschezza vocale, il timbro è chiaro e luminoso nei pianissimo come negli acuti, la perfezione dell'intonazione e la precisione nei passaggi più difficili è intatta, memorabile nell'aria “O salutaris Hostia". Sara Mingardo, acclamato contralto rossiniano, la cui tecnica raffinata abbinata a una voce calda ed espressiva sono state le caratteristiche che l'hanno resa famosa a livello internazionale, sono tutti elementi che hanno entusiasmato anche in questa occasione, mirabile l'interprtazione dell'"Agnus Dei". Sergey Romanovsky reduce dai successi mietuti al festival rossiniano di Pesaro possiede una buona tecnica e una voce corposa che s'impone all'attenzione, e così è stato anche nell'impegnativo "Domine Deus". Michele Pertusi, uno dei protagonisti della prima riproposizione nel 1997, è un eccellente belcantista dallo stile elegante e ricercato, a cui si aggiunge una voce calda, morbida e duttile, che ha splendidamente sfoggiato nel "Quoniam". Il pubblico elettrizzato ha acclamato lungamente gli interpreti in un'atmosfera di incandescente esaltazione.