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Santa Cecilia. Glorioso Mozart con Manfred Honeck
Una sala gremita ha lungamente acclamato Manfred Honeck, che ha diretto un programma tutto mozartiano comprendente la celeberrima Sinfonia n.40 e la Grande Messa in do minore K 427; ai complessi ceciliani, Orchestra e Coro, si sono aggiunti i solisti: Rosa Feola, Lea Desandre, Mauro Peter e Patrizio La Placa. L’articolo si riferisce al concerto di sabato 25 febbraio scorso.
La Grande Messa in do minore K 427, la più vasta, complessa e impegnativa composizione sacra di Mozart, è incompiuta come il Requiem, ma, a differenza del Requiem, la composizione non fu interrotta dalla morte della autore ma lasciata così per volontà del compositore. Mozart la scrisse tra il 1782 e 1783 non su commissione ma per la moglie Kostanze sposata nel 1781, fu eseguita a Salisburgo il 26 ottobre 1783, essendo incompiuta probabilmente venne integrata con pezzi di altre messe del compositore Due anni dopo, a Vienna, Mozart avrebbe riutilizzato il Kyrie e il Gloria nell'oratorio Davide penitente K. 469.
Poi se perse il ricordo e solo dall’inizio del secolo scorso fu riscoperta con alterne vicende esecutive, in quanto si passò dall’integrazione delle parti mancanti alla riproposizione basata sugli autografi mozartiani senza aggiunte dei pezzi incompiuti; ancora oggi si è divisi sulle due visioni. In questo caso Manfred Honeck ha scelto la versione incompiuta, nella edizione con la ricostruzione del Credo e del Sanctus, basata sugli autografi mozartiani del musicista Helmut Heder, la più nota e la più usata.
Nell composizione della Grande Messa in do minore K 427 emerge la conoscenza di Bach e Händel e anche degli italiani come Caldara, Porpora e Pergolesi, un aspetto sottolineato da Giovanni Carli Ballola, conoscenza che fu acquisita da Mozart nella frequentazione dei concerti e della biblioteca del Barone van Swieten. Questa influenza dello stile antico, rimeditato e rielaborato dal salisburghese è evidente fin dal Kyrie, con la severa polifonia corale e il suono cupo e solenne dei tromboni, nella tonalità di do minore, nel cromatismo del motivo dei soprani e dei contralti sviluppato in rigoroso stile imitato. Il luminoso Christe per soprano solo fu un affettuoso omaggio alla moglie Kostanze, che cantò questa parte nella prima esecuzione della Messa.
Il grandioso Gloria si articola in otto numeri, l’apertura riecheggia lo stile di Händel, nei luminosi passaggi contrappuntistici, con una citazione quasi letterale dell'Alleluja del Messiah. Un'aria tripartita col da capo Laudamus Te, un duetto per due soprani Domine Deus e un terzetto per due soprani e tenore Quoniam tu solus sanctus, si alternano con due gagliarde parti corali a cinque voci Gratias agimus e a doppio coro Qui tollis ed è concluso dalla maestosa fuga del Cum Sancto Spiritu in cui Mozart include componenti del suo linguaggio sinfonico ottenendo una coinvolgente efficacia drammatica.
Del Credo scrisse la prima parte corale, il basso e l’accompagnamento nei punti più essenziali, nell’Et incarnatus est rimangono la parte della voce solista con i fiati obbligati e il basso, mentre le parti dell’accompagnamento sono solo accennate (Hermann Abert Mozart La maturità ed. Il Saggiatore). Il primo è un solenne coro a cinque voci è scritto nella reminiscenza delle Ouvertures di Händel. L'Et incarnatus est fu scritto per l'amata Kostanze, è un delicato pezzo nel ritmo di siciliana, che unisce al virtuosismo vocale un incantevole melodia lirica, come nel lunghissimo vocalizzo della cadenza che unisce al soprano tre strumenti obbligati: flauto, oboe e fagotto, una scelta che ricorda lo stile delle arie italiane.
Il doppio coro ritorna nel Sanctus, in uno stile non più antico ma audacemente moderno, culminante nel possente Pieni sunt coeli et terra gloria tua, da qui inizia la fuga dell'Osanna, dal serrato contrappunto che evoca Bach. Il contrappunto domina nel Benedictus per le quattro voci soliste, in un clima inquietante che si conclude con la ripresa della fuga dell'Osanna.
Manfred Honeck ha mostrato una chiara consapevolezza interpretativa e guidato con mano esperta e sicura il coro, che ben preparato da Piero Monti, ha affrontato con sicurezza le ardue insidie della parte, e l’orchestra. Honeck ha saputo cogliere e evidenziare le variegate sfumature timbriche, ritmiche, agogiche e dinamiche, che hanno un intenso senso espressivo in questo straordinario capolavoro, assecondato pienamente dai professori dell’orchestra. Ricordiamo per l’esecuzione della raffinata scrittura mozartiana i musicisti: Andrea Oliva, flauto, Fabien Thouand, oboe e Alvaro Prieto, fagotto, che, nell’Incarnatus, Honeck ha voluto sul palco vicino al soprano per rimarcare l’aspetto barocco dell’Aria con strumenti obbligati; al termine anche i musicisti sono stati entusiasticamente applauditi dal pubblico. Manfred Honeck, accolto da una infiammata acclamazione anche al termine dell’esecuzione della celeberrima sinfonia mozartiana, ha raccolto un meritato successo personale
Nel Quartetto vocale Rosa Feola, che ricordiamo nei primi esordi a Santa Cecilia nei corsi di perfezionamento di Renata Scotto, ha brillato con il raffinato controllo tecnico e stilistico congiunto ad una emissione luminosa, vellutata e ricca di colori espressivi, che affronta senza sforzo l’ardua scrittura vocale alla fine è stata accolta con una incandescente ovazione. Lea Desandre, mezzosoprano, dotata di una voce limpida e morbida, ha affrontato con sicurezza le difficoltà ben interpretando la parte, è stata lungamente applaudita; nel duetto Domine Deus, Rex coelestis, le due voci femminili si sono ben accordate in una notevole e intensa interpretazione. A differenza delle voci femminili a che hanno il soprano I due arie, Kirye e Incarnatus, Laudamus il mezzosoprano, Il tenore ha una parte breve, partecipa al terzetto Quoniam tu solus sanctus e al Benedictus in cui si aggiunge anche il basso. Mauro Peter, tenore ha ben figurato e così Patrizio La Placa, basso e membro del coro ceciliano.