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Santa Cecilia. L'ascesa spirituale secondo Bruckner e Verdi
L'inaugurazione della Stagione Sinfonica dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia con due musicisti l'uno tedesco, l'altro italiano, entrambi con brani dedicato al divino: la Nona Sinfonia, l'Incompiuta di Anton Bruckner e i Quattro pezzi sacri di Giuseppe Verdi, quest'ultimo in via di bicentenario nel 2013. Dal 13 al 15 ottobre Antonio Pappano ha diretto l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia per un programma che ha sfidato sia gli esecutori sia il pubblico per la possanza richiesta ad entrambi per due lunghe ore di musica dedicata allo spiritualità.
Da una parte abbiamo il cattolico Bruckner (1824-1896), spesso preso in giro per la sua semplicità non di stampo altoborghese, candida e anarchica come le sue svettanti variazioni che Pappano ha fatto udire tutte durante l'esecuzione di una musica che lui stesso definisce con le parole: “un allargamento dell'orizzonte spirituale ed i brani più intimi di due grandi compositori”.
Contraddistinta dal re minore, la vera cifra intima della composizione, la Nona di Bruckner, grandissimo ammiratore di Wagner ma al contempo vero purista nella musica al contrario di ciò che alcuni delatori mettevano in giro, è insieme la sua ultima invocazione certa del suo plauso, “Al buon Dio”, come sottolinea il titolo, e la summa testamentaria di un sinfonismo tedesco grandemente influenzato dallo strumento capitale del Maestro, il maestoso e solenne organo da chiesa che determina traiettorie in “crescendo” continuo per limitare i fortissimi e i pianissimi che rilucerebbero con echi prolungati in sale da concerto.
I primi tre movimenti che il sommo tedesco è riuscito a comporre si dividono in tre parti: il Solenne e misterioso (Feierlich) iniziale in re minore; lo Scherzo (Bewegt, Lebhaft, Mosso, Vivace, Trio: Schnell, Presto) - che si traduce nell'unica alternativa tra il maestoso e tragico iniziale ed il patetico finale dell'Adagio -, quasi un movimento “infernale” (cfr. Sablich) che si sviluppa in fa diesis maggiore e molto figurativo; l'Adagio (Sehr Langsam, feierlich, Molto lento, solenne) si stempera in un'ascesa espansiva che dà il pieno fiato lirico ai violini e richiama gli echi wagneriani dell'iniziale Feierlich. Quello che colpisce di questa sinfonia, aldilà delle intense e plurime variazioni, è un respiro lirico di concerto che celebra una fine attraverso una musica pura di stampo brahmsiano, forse qui vi si accosta, negli episodi più svettanti anche alla Nona di Mahler, e nonostante i ridondanti passaggi percussivi che a volte andrebbero maggiormente calibrati relativamente alla tragicità del percorso tissutale dell'opera. La direzione di Pappano è stata attenta ma come ci si aspettava migliore in grandezza e intensità, anche per quanto riguarda l'Orchestra, nell'opera verdiana che probabilmente sentono tutti più consona al loro sentire più intimo.
La religiosità umanistica e l'agnosticismo di Giuseppe Verdi (1813- 1901) è noto quanto la sua ricerca di una trascendenza in musica che lo hanno portato a comporre il Requiem nel 1874 e sempre a spartire pubblicamente la sua rassegnazione ad un “mondaccio” per il quale provare solo “indifferenza o disprezzo”. I Quattro pezzi sacri di Verdi, di cui ricorre il bicentenario nel 2013, che usciranno presto in CD per la Emi (il concerto di sabato è stato registrato da RAI Radio3), sono quanto di genuinamente “verdiano” e fervido nella sua tessitura musicale poteva scrivere il genio di Busseto. E qui l'Orchestra ed il Coro di Santa Cecilia insieme a Pappano e Ciro Visco Direttore del Coro, hanno rivelato il vero spirito dei brani: il coinvolgimento è pieno nell'esecuzione e dopo il Moderato cantabile dell'Ave Maria per coro a quattro voci su "scala enigmatica" (un'irregolare successione di note in una sorta di do maggiore, una sfida vinta da Verdi e provocata da Crescentini sul “Gazzettino musicale” di Rircordi) quasi un sussurro flebile e aereo, il grandioso e feroce Stabat Mater si innalza su toni cupi e laceranti. Lo strazio descritto in versi dal “ruvido” Jacopone da Todi è solenne e condiviso intimamente da Verdi che lo rende un grido animato che finisce in un pianissimo Amen sui toni tenebrosi dell'orchestra.
Le Laudi alla Vergine Maria per coro femminile a quattro voci descrivono un paesaggio intimo su una scrittura polifonica che ebbe da subito particolare successo, mentre il Te Deum che chiosa fa risaltare una struttura dicotomica per emozioni – sul fondo il tema in pianissimo - nei quali si riflettono i versetti, anche con passaggi perentori e repentini: come per esempio dall'inno alla preghiera con ampi spazi lirici al femminile, e controcanti, fino alla voce femminile conclusiva poi raggiunta dal coro tutto con un ultimo rantolo in grave dell'orchestra.