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Santa Cecilia. Un tris di assi per Rachmaninoff
La serata del 10 ottobre 2013 ha visto tempestare la Sala Santa Cecilia dell'Accademia su tasti sibillini ed adamantini, con tre pianisti, completi dell'Orchestra di Santa Cecilia diretta dal giovane russo Alexander Sladkovsky, che ha festeggiato i 300 anni di San Pietroburgo dirigendo il concerto ufficiale. I tre astri della tastiera sono stati Sean Botkin, l'italiana Mariangela Vacatello e Nikolay Lugansky, per una kermesse su tre celebri brani di Rachmaninoff: il Concerto per Piano e Orchestra n. 4, la Rapsodia su un tema di Paganini e la Rach3, il Concerto per Piano e Orchestra n.3, notoriamente famoso per il film Shine.
Nella platea e sugli spalti delle gallerie era pieno di un pubblico giovane che di solito non è così numeroso a Santa Cecilia: il concerto di Rachmaninoff ha attirato giovanissimi e variegato la platea che si è dimostrata generosa di applausi almeno quanto lo sono stati di prestazioni eccezionali pianisti ed Orchestra. Rilevante è stato subito l'afflato con il direttore russo Lugansky, che ci fa venire in mente altri concerti, con Petrenko e Gergiev, due per tutti, assolutamente brillanti e calorosi: il “cuore russo” batte all'unisono con quello italiano, e la precisione con cui dirigono l'Orchestra i direttori giovani come Lugansky, è vivamente apprezzata in primis dai Maestri di Santa Cecilia, che hanno tessuto un concerto assolutamente memorabile.
Travagliata stesura per Sergej Vasil'evič Rachmaninoff (1973-1943), quella del Piano Concerto n.4, che ha occupato quasi una decade, dal 1917 al 1926, essendo il compositore partito per una lunga tournée l'anno seguente alla prima stesura. In tre movimenti: Allegro vivace, Adagio assai, Allegro assai, si delinea per un andamento innestato su cambiamenti repentini su cui all'inizio si adagia un tocco flautato, con l'oboe come introduzione. Gli arpeggi, di splendida limatura, sono liriche orchestrali che si intersecano al suono del piano che Sean Botkin (allievo della celebre Julliard School e partecipe dell'altrettanto raffinato Busoni Festival) ricama con estrema perfezione, riconfermando una tempra che ricordiamo nelle miliare interpretazione di Arturo Benedetti Michelangeli con la Philarmonia di Londra nel 1957. Botkin sia applica al piano con disinvoltura e evidenzia l'evanescenza di un movimento nervoso, tra fraseggi repentini che già riverberano la musica del '900, che il Direttore Sladkovsky mette in luce con insistenza con melange dagli effluvi jazz. Bis con uno dei Preludi di Rachmaninoff.
Le 24 variazioni della Rapsodia su tema di Paganini (1934) sono prese d'assalto da Mariangela Vacatello, unica italiana della serata, grande solista internazionale (Mozarteum di Salisburgo, uno per tutti) che ci trascina in un vortice dal suono argentino e adamantino, sincopato e coinvolgente, come se le sue mani vibrassero poderose e instancabilmente mobili, mentre il Direttore Sladkovsky scandisce a perfezione i tempi dell'Orchestra, in cui respirano di tanto in tanto e prepotentemente, le percussioni più fini. La trama nel tappeto della Vacatello è finissima e diventa invisibile nei piani e nei lenti, mentre l'Orchestra, richiama a movimenti “classici” e termina trionfalmente la prima parte del programma con un bis dalla Campanella di Liszt.
Assolutamente brillante e talentuso il russo Nikolay Lugansky (1972), che sottolineiamo è l'astro della serata con il brano di maggior difficoltà nell'esecuzione: la celebre RACH3 del 1909, ovvero il Concerto per piano e orchestra n.3, di cui si racconta nel film Shine di Scott Hicks del 1996, il cui pianista, David Helfgott, viene investito da schegge di follia per l'estrema difficoltà di esecuzione.
Il tema lirico del Concerto n.3 è di una sensibilità imperscrutabile e lo intravediamo immediatamente dalle note struggenti che convergono su una scrittura romantica in senso letterario e letterale. Sia l'Orchestra sia il Direttore Sladkovsky erano in completa simbiosi col pianista il cui arpeggiato è aulico, sia nella lentezza sia nella velocità del ritmo. La leggerezza con cui Lugansky si destreggia sulla tastiera è puntuale e fa risuonare ogni singola nota come se fossero tutte permeabili all'aria dalla quale sono attraversate.
Il respiro dell'Orchestra è distillato da Lugansky nei tre movimenti che compongono il Rach3 - Allegro ma non tanto, Intermezzo (Adagio. Poco più mosso) e Finale: Alla breve – emergendo come un tutt'uno a premonimento della fine: la coda è intessuta da una serie di arpeggi di seta sempre in accelerando, conducendo al roboante finale. A conclusione, un bis con la ripresa della Rach3.