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Silence. L'apologetica del dolore
Era dal 1988 che Martin Scorsese aveva in mente un film tratto dal romanzo del 1966 di Shusako Endo, Silence (libro edito da Corbaccio in Italia tradotto da Lydia Lax). Quel silenzio che accorpa tutti i religiosi di fronte a Dio, nel bene e nel male, nella meditazione e nella speranza di fare propria la voce di Cristo Salvatore. Nel 1633, nel Giappone buddista del feudalesimo più gretto e dei Samurai, un prete portoghese e gesuita, Christovao Ferreira, interpretato nel film da Liam Neeson, scompare, ed alla ricerca partono due suoi giovani proseliti, “padres” anch'essi, Sebastian Rodrigues, nel cui ruolo vediamo Andrew Garfield; e Francisco Garupe, l'attore Adam Driver.
Cosa può supportare, un uomo, per la propria fede? Questa è la domanda di fondo che risuona di continuo nella testa dei due religiosi in spedizione alla ricerca di Padre Ferreira, di cui si hanno voci di conversione al buddismo e abiura.
La persecuzione religiosa in Giappone è stata crudele contro i cristiani e tutti coloro che cercavano, come Padre Ferreira, di professare il Cristianesimo e proseguire l'azione di proselitismo come i gesuiti, che in primis hanno condotto l'evangelizzazione diffondendo l'insegnamento apostolico.
Nel film però c'è un contro argomento: il dolore ed il sacrificio di persone innocenti che sono state massacrate solo per aver aderito ad una fede proibita, proprio come è avvenuto all'inizio della diffusione del Cristianesimo tra i Romani. Un dilemma che però in questo film è posto di fronte ai “padres” portoghesi che, abiurando la loro fede, su richiesta dell'Inquisitore, possono salvarli.
In una società contadina e sottomessa come quella giapponese del XVII secolo è piuttosto facile minacciare, imprigionare, torturare degli esseri indifesi che praticano la fede cristiana come unica e ultima risorsa alla loro vita grama: la speranza del perdono di Cristo rappresenta l'unica salvezza per loro e fanno di tutto per non rinnegarla. Anche nel momento in cui Padre Rodrigues (Garfield) pur di salvarli, gli urla di calpestare l'immagine di Cristo, loro lo faranno con estremo disagio e riluttanza, e solo perchè il “Padres” glielo ha ordinato.
La questione della fede in Giappone poi è molto più complicata: nel bel dialogo costruito nella sceneggiatura da Jay Cocks e Martin Scorsese, Ferreira (Neeson), fa notare come il Cristianesimo giapponese è “panteistico”: nel gioco di parole reso in inglese dalle due parole “sun” e “son” (sole e figlio), Ferreira dice a Rodrigues che in realtà loro credono al “sun of God” (sole di Dio) e non al “Son of God” (al Figlio di Dio), una versione naturalistica del Cristianesimo piuttosto comprensibile per loro, ma completamente avulsa dal nostro modo di pensare e dalla fede cristiana.
La recitazione è abbastanza convincente quella di Garfield anche se la scelta di Scorsese ci è sembrata “patinata” per l'attore principale, mentre più credibile – escludendo l'eccellente Liam Neeson – il Padre Garupe di Adam Driver, ed una nota di merito per Yōsuke Kubozuka che interpretava magistralmente Kichijiro, il “Giuda” con gli occhi a mandorla.
La scenografia di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo era bella ma non particolarmente notevole, d'altronde la storia che si raccontava era particolarmente tragica, ed in qualche modo il grigio dei paesaggi inondati da acque dedite alla tortura di innocenti, come il fuoco delle pire sulle spiagge, faceva trasalire verso una “nigredo” metaforica ogni colore. Un'apologetica del dolore il messaggio in fondo al quesito centrale del titolo del film, di Endo come di Scorsese, a strenua difesa di una scelta profondamente “cristiana” che traduce l'apostasia in un messaggio di difesa dell'ultimo confine dell'umano.