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Stradivarius riedita l'originale Don Perlimplin di Maderna
Opera radiofonica composta da Bruno Maderna (1920-1973) nel 1961, Don Perlimplin ovvero il trionfo dell’amore e dell’immaginazione è una commedia dal sapore agrodolce tratta da una “ballata amorosa” del grande poeta spagnolo Federico Garcia Lorca. Stradivarius la irpropone ricostruendola dall'originale nastro magnetico, l'unico rimastoci.
La storia narra di Perlimplin, “uomo timido e gentile che viveva tranquillo e forse anche felice, in mezzo ai suoi libri” – come recita l’incipit affidato alla voce dello speaker – fino a quando, spinto dalla governante impicciona, non scopre l’amore per la giovane Belisa; questa, convinta dalla madre a sposare per interesse l’attempato gentiluomo, fin dalla prima notte di nozze non disdegna le lusinghe di giovani spasimanti. Uno in particolare attrae Belisa: è uno sconosciuto dalla carnagione scura e dal mantello rosso che non ha mai potuto vedere in volto, ma che la ama proprio come lei vorrebbe essere amata e che le scrive lettere d’amore quali nessun altro ha mai osato: “che dovrei farmene della tua anima? – le scrive lo sconosciuto – è patrimonio dei deboli, di eroi impotenti e di gente malaticcia. Le anime belle stanno sempre sul ciglio della morte, reclinate su candide chiome con mani esangui. Belisa, non è la tua anima che io voglio; no, ma il tuo morbido e bianco corpo tremante”. Ma la tragedia è in agguato e così, mentre una notte Belisa sogna a occhi aperti i baci ardenti dell’ignoto amante, un gran trambusto la desta e precipitatasi al balcone, vede il giovane dal mantello rosso ormai esangue, pugnalato a morte – lei crede - dal marito geloso. Belisa accorre sgomenta sperando di vedere almeno per una volta il viso del giovane amato, ma scopre che lo sconosciuto dal mantello rosso non è altri che Perlimplin, pugnalatosi al cuore per amore dell’infedele amata.
Costretto dal mezzo radiofonico a descrivere con suoni e parole quello che in genere in teatro è affidato all’azione scenica, Maderna dà prova di quell’incredibile capacità di avvalersi e di amalgamare materiali sonori diversi, appartenenti a epoche e tradizioni assai distanti tra loro (si pensi qui all’accostamento di timbri e ritmi jazz, rag e blues alla musica seriale) che fa del compositore veneziano una delle personalità più interessanti ed eclettiche dell’avanguardia musicale uscita nel dopoguerra dalla scuola di Darmstadt.
Nel Don Perlimplin i personaggi più che cantare parlano (solo Belisa ha il dono del canto), in luogo del “coro” – nell’accezione della tragedia greca - troviamo uno speaker come voce narrante, il protagonista Perlimplin è un flauto, la voce della suocera è un quintetto di saxofoni. Tutto intorno, la musica, che ricrea l’aura incantata della fiaba melanconica di Garcia Lorca, è musica elettronica o almeno così sembra: in realtà è un ingegnoso trompe l’oreille (inganna l'orecchio), come lo definì Massimo Mila, un montaggio ottenuto dal mescolamento sonoro dell’imponente schieramento di percussioni, del flauto protagonista, dell’orchestra, del parlato e del canto, realizzato nello studio di Fonologia della RAI di Milano. L’infinita possibilità di combinazioni, la duttilità che la materia sonora rivela, una volta filtrata attraverso il mezzo elettronico, apre definitivamente a Maderna l’orizzonte dell’alea, dell’“opera aperta”.
La riproposizione della Stradivarius dell’incisione del 1996 del Don Perlimplin è di grande interesse poiché ricostruisce un’opera la cui fonte principale arrivata fino a noi non è altro che un nastro magnetico, e la partitura è ridotta a un canovaccio con qualche appunto. È significativo, come avverte Sandro Gorli - direttore dell’ottimo Divertimento Ensemble cui è affidata l’esecuzione e curatore dell’intera operazione, con la collaborazione dello studio AGON per la parte tecnica - che i nastri intermedi per montare il nastro finale non esistono più, come se Maderna non si fosse preoccupato di conservarli in vista di una seconda esecuzione della partitura; quasi un’estrema conseguenza di quella teoria dell’“opera aperta” che poco più tardi, nel 1965, Maderna definirà come “un’avventura necessaria del pensiero creativo del nostro tempo (…) che conduce a una glorificazione della forma e non alla sua negazione”.