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Teatro Argentina. La democrazia della crudeltà
Dal testo ottocentesco De La Démocratie en Amérique di Alexis de Tocqueville, la cui data di pubblicazione oscilla tra 1835 e 1840, usualmente tradotto in inglese con Democracy in America, Romeo Castellucci con la sua Societas, ha proposto uno spettacolo indiscutibilmente ricco di riletture, profondamente pervasivo, incredibilmente foriero di ispirazioni ed aspirazioni a riconcepire la storia americana secondo una diversa prospettiva, partendo dal “seme” religioso puritano gettato nel 1620 con lo sbarco della Mayflower. Al Teatro Argentina dall'11 al 13 maggio scorsi, lo spettacolo è tutto “al femminile”, come un antico coro greco che stenta a farsi riconoscere.
La storia del primo sbarco inglese in America risale alla fuga dei Puritani inglesi nel 1620 prima dall'Inghilterra di Giacomo I Stuart, poi da un'Olanda accogliente che non offriva però una patria, e finalmente l'approdo nella Terra Promessa: quel Massachussetts abitato dagli indiani da cui prende il nome lo stato americano, i Massachussett, che però vengono sostituiti dai ben più “magici” e rituali Ojibwe, le cui società segrete e sciamaniche provenivano dal Michigan (ed oggi sopravvissute solo in Minesota). In questa Terra Promessa dove vivono Elizabeth e Nathaniel si scorge da subito un sole nero, emblema mistico, ermetico, esoterico, di svariata natura: rappresentativo del primo stadio alchemico (nigredo), come della prima forma femminile originaria, come la spaventosa serpe nera che si origina nella bocca di Elizabeth dopo la consapevolezza blasfema dell'assenza di Dio. Quel Dio che ripete “Io sono” per non pronunciare ma scrivere a caratteri cubitali il nome di Jeovah, di Dio, in ebraico sul fondo del palco, dove si stagliano le figure confuse da un velo mitico che nasconde le silhouettes delle streghe come i cappelloni neri dei preti puritani, le cui bocche spiccano condanne su corpi nudi e lacerati, impiccano e mandano al rogo quelle idee le cui didascalie inique si stampano in rilievo per il pubblico, con tanto di date di emissione.
Le marcette dell'inizio allora si spiegano: quel giocare agli anagrammi con il titolo Democracy in America, che si trasforma in “crime and decay” come nei nomi di quegli stati vituperati dagli americani come dal mondo intero dove la democrazia non esiste: dallo Yemen all'India, dal Myanmar all'Iran, in un calambour sarcastico ritualizzato da antiche danze.
Ascoltiamo Romeo Castellucci su Democracy in America in un'intervista per deSingel International Artcampus in Olanda “La democrazia nasce in Grecia e nasce quando gli dei sono morti: la fondazione della democrazia è il diritto e quindi la morte degli dei. Non può nascere il diritto se non con la morte della religione. Invece la democrazia in America nasce coi Puritani e al contrario di quella greca, è veterotestamentaria e trova il suo fondamento nel Vecchio Testamento, quindi alle basi vi è la religione mentre l'estetica è completamente rifiutata dai Puritani, nel loro estremismo. Costruiscono una una società egualitaria ma non per tutti: gli esclusi sono gli originari indiani, i negri e le donne.” Al contrario della democrazia greca, la democrazia americana è fondata sulla caccia alle streghe, e non sui diritti dell'uomo, ed il sole nero è il simbolo della donna feconda che genera, come della rigenerazione attraverso il viaggio nell'aldilà presso le culture mesoamericane. Elizabeth insieme a Nathaniel - che chiaramente ha un riferimento a Nathaniel Hawthorne, uno degli scrittori americani che si sono più largamente occupati della società puritana e sui cui Castellucci ha ideato lo spettacolo tratto da un suo racconto sintomatico su questo topos “The Minister's Black Veil” - sono i fondatori di quel Nuovo Mondo che però si ritrova senza quel Dio tanto osannato, soli con l'aratro della semina, in bianco e nero come nei processi alle streghe, unico getto di colore rosso in un universo che non mostra zone di grigio ma solo foschia in un rito che, dimentico dei suoni antichi, delle glossolalie mistiche, rappresenta un teatro “crudele” seguendo l'apoteosi di Artaud.