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Teatro Argentina. Il Reality Lear di Fantastichini e Corsetti
Fino al 10 dicembre uno dei massimi capolavori di Shakespeare, il Bardo inglese del '600, sarà sulla scena del Teatro Nazionale di Roma, il Teatro Argentina: nella rilettura registica e nell'adattamento di Giorgio Barberio Corsetti e nella parte di Re Lear Ennio Fantastichini. La tragedia del potere e della follia intitolata al re che si voleva liberare della prima per darsi ad una vecchiaia tranquilla e lontana dalle preoccupazioni, calca il palcoscenico nella produzione del Teatro di Roma e del Teatro Biondo di Palermo.
Un palcoscenico scarno che preannuncia la festa per la “spoliazione dal potere” di Re Lear: un'abdicazione a favore delle sue tre figlie ipotizzata in parti uguali tra Goneril, Regan e Cordelia, che si rivelerà irta di asperità e cambi di gittata. Lear, il cui scopo ultimo è sentirsi amato dalle parole ammaliatrici delle sue figlie, voglioso di false promesse d'amore fin negli ultimi scampoli di vita, crederà solo alle parole ingannatrici delle prime due figlie, Goneril e Regan, astute vezzeggiatrici della sua vanità. L'ultima figlia, la preferita, la più sincera, otterrà il “Nothing” che promette: quel “Nulla” della sostanza amorosa che ha sempre riservato al padre, ovvero l'essenza umile e non proterva, modesta e non vanesia, che corrisponde al “Tutto”, da sempre onorato nella più profonda autenticità. Lear, naturalmente teso verso un riconoscimento filiale di superficie, non guarderà a fondo nelle sue parole e quell'onore, obbedienza ed amore che Cordelia gli ha sempre donato onestamente ma senza tanti clamori, li valuterà non per quel che sono, piuttosto come non “corrispondenti” alle sue esigenze di quel momento nella festa grottesca immaginata da Corsetti e Francesco Esposito per le scene e per i costumi. Tutta presentata nei colori RGB, Red Green and Blue (Rosso, Verde e Blu), in cui l'unica vestita di nero insieme al Re di Francia, è proprio Cordelia. Goneril è in blu petrolio mentre Regan in verde; Lear nello stesso rosso squillante del Duca di Gloucester con cui condividerà le sventure, finendo nella cecità e nella follia.
Due infatti le storie in Re Lear, l'una riflesso dell'altra: una è Lear con le sue tre figlie, tradito dall'avidità delle prime due, non credendo all'umile riserva d'amore della terza, Cordelia; la sottotrama è invece quella di Gloucester con i suoi due figli, l'uno legittimo, Edgar, sinceramente legato d'affetto per il padre; il secondo, Edmund, l'illegittimo, nato da una relazione con una donna al di fuori del matrimonio, privo di qualsiasi sentimento verso chiunque, soltanto preda di avidità e potere, che riuscirà a beffare il padre con una falsa lettera e farà cacciare Edgar dalla casa paterna.
In questo scarno paesaggio di sentimenti ripudiati e di debolezze vezzeggiate, quelle di Lear e di Gloucester, apparirà feroce l'ombra della pazzia e della violenza, della mendicità dei padri e della pazienza di figli che nella sventura moriranno con loro, Lear insieme a Cordelia.
Vaganti tra le concupiscenti magioni di Goneril prima e di Regan poi, Lear incontrerà Kent nelle vesti di Caius – altro amico ripudiato perché rivelatore della verità a Lear – mentre Edgar si camufferà sotto i panni lerci di Tom o'Bedlam (Bedlam era il manicomio) pur di sostenere il padre accecato non solo metaforicamente dal Duca di Cornovaglia, marito di Regan.
Tra festini e canti alla natura bestiale e bastarda come Edmund, tale quale al testo shakespeariano, vediamo avvicendarsi sul palco personaggi odierni: reietti che si rifugiano in una capanna che sembra tanto una zattera che li farà annegare durante la tempesta; interni sempre a festa con fantomatici ricevimenti e champagne a fiumi per nobili e servi; teatri di guerra appena accennati dalle divise, mentre sullo sfondo campeggia una scala simil medievale dove moriranno i protagonisti, che l'hanno discesa fino all'ultimo gradino.
La domanda sul futuro appare sospesa: se il Duca di Albany insieme ad Edgar sapranno concretizzare un regno basato sulla verità, senza scendere a patti con il reality appena conclusosi sul palcoscenico con Lear, non ci è dato sapere: bisogna necessariamente ripartire da quel “Nothing” di cui parlava Cordelia e così denso di azione. Quella realtà non artefatta dalle parole dove la gerarchia, l'unica al potere, è quella fondata sui sentimenti affini, sinceri e non sulla proprietà segnica di un sistema basato invece sulla spoliazione continua e sull'avidità. Bisognerà nondimeno ricordarsi che liberarsi del potere significa perderlo, inesorabilmente.
Una carrellata sugli attori a cominciare dal Matto, interpretato mirabilmente da Andrea Di Casa nella versione di un povero down che dice invariabilmente la verità, come il Kent interpretato da Roberto Rustioni, indefesso amico di Lear. Michele Di Mauro, nella parte di Gloucester e riflesso di Lear nella storia, è potente nel suo ruolo, meno invece l'Edgar di Gabriele Portoghese che risalta invece nelle parti del povero Tom o'Bedlam. La Cordelia di Alice Giroldini risulta sottotono e con poca forza, al contrario delle avide sorelle, nella parte di Goneril, Francesca Ciocchetti, Sara Putignano in quella di Regan, che aprono le loro tende-gambe per il passaggio degli attori nella videografia hard che riproduce lo squarcio di Fontana a cura di Igor Renzetti e Lorenzo Bruno. Le musiche sembrano quasi delle suppellettili a cura di Luca Nostro, se non per la “canzona” del bravissimo Francesco Villano nella parte del brutale Edmund. Mariano Pirrello, nella parte di Albany, risulta avere poca verve, al contrario del capostipite del regno, Ennio Fantastichini, che intrepreta tutte le sfumature dell'ambiguo Lear sulla scena: dalla melliflua ricerca del piacere alla condanna inutile delle figlie fedifraghe, fino alla desolazione nella capanna.
Uno spettacolo lungo, intenso e denso nelle sue scheletriche scene che danno un senso ancor più tragico nell'assenza di voluttuose strutture, e nella evidente aggressività dei colori, dal rosso di Lear al nero luttuoso di Cordelia, anticipatrice del mesto finale di un'epoca.