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Teatro Colosseo. Il drago di E. Schwarz tra fiaba e politica
“In ciascuno di voi dovrò uccidere il drago”. Con questa battuta, pronunciata verso la fine, il prode Lancillotto riesce a condensare il senso più profondo di una pièce che balla in bilico tra un senso letterale, correlato alla fiaba, e quelle derive filosofiche, tendenti al grottesco, che tramite continue allusioni contribuiscono a definire un’altra dimensione, tutta incentrata sull’allegoria politica. Un drago, una fanciulla in pericolo, un cavaliere solitario, una città minacciata. Ruotando intorno a questi elementi, così classici da ricordare le analisi strutturali di Propp sui personaggi e sulla natura stessa della fabula, lo scrittore russo Evgenij Schwarz aveva saputo ricamare un intreccio di rara densità, iniziato peraltro alla vigilia dello scontro tra Unione Sovietica e Germania hitleriana; un intreccio nelle cui pieghe si celava lo sgomento di fronte alla dittatura nazi-fascista, l’invito a non farsi piegare dai più sordidi interessi e a lottare contro di essa, nonché la speranza in un futuro socialista e senza più oppressori.
Nel magnifico allestimento cui abbiamo assistito al Teatro Colosseo, dove lo spettacolo è andato in scena dall’11 al 16 dicembre 2012, la regia ispirata di Beatrice Gregorini e la vivace partecipazione di tutti gli interpreti hanno fatto sì che il testo rivivesse in modo coinvolgente, emotivamente intenso, quasi ipnotico. Ma un altro grosso contributo è arrivato in tal senso dai costumi di Giuseppe Santilli, dal make up di Valentina Sarti Magi e dalle scenografie di Marianna Sciveres, capaci con la loro creatività di forgiare la cornice idonea a un simile immaginario fantastico, contiguo però alle pieghe più dolenti e drammatiche della storia contemporanea. Sin dalla primissima scena, coi movimenti rallentati degli attori e i costumi sgargianti immersi in una dimensione ovattata, per certi versi onirica, si è colti da una sensazione straniante, un po’ come se a rivivere fosse lo spirito di qualche surreale cabaret dell’area mitteleuropea anni ’20. E le scelte musicali operate per lo spettacolo non fanno altro che accentuare quel senso di sospensione temporale, da cui si è portati a riconsiderare, in qualche modo, il significato più profondo del potere e della libertà.
Il resto ne Il drago lo fanno gli attori, parsi perlopiù nella parte. Alcuni addirittura magnifici. Lancillotto, interpretato con sfrontatezza e gagliardia da Francesco Bauco, è l’eroe positivo che affronta i rischi del caso e non bada a compromessi, pur di cambiare il mondo in cui vive. Giuseppe Santilli è il drago a tre teste (un costume per ogni testa, non a caso), camuffamento istrionico del potere, che sa ergersi ad oppressore o persino a ipotetico baluardo del popolo su cui domina, secondo le convenienze politiche del momento. Claudio Zarlocchi è il Gatto, pacioso fool miagolante che assumerà, al pari del resto della cittadinanza, una diversa consapevolezza di sé e della realtà in cui vive proprio grazie all’intervento dell’eroe. La sognante Francesca Petretto è la bella di turno, figlia dell’alchimista, inizialmente rassegnata al proprio destino di vittima ma capace anch’essa di maturare più alti ideali di lotta nel corso della rappresentazione. E c’è ovviamente un Borgomastro, interpretato in chiave grottesca da Alessandra Chiappa, a rappresentare il trasformismo della borghesia, pronta a piegarsi alla violenza del Drago/Dittatore come anche a prenderne il posto, se solo ne intravvede l’occasione. Accanto a loro i bravi Giuseppe Arnone, Arianna Adriani, Mario Sechi e la giovanissima Alessandra De La Fortuna Sciveres, per dar vita a uno spettacolo che si vive sul filo di un’emozione, lasciando poi abbondante materiale su cui riflettere.