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Teatro dell'Opera di Roma. Lucia di Lammermoor riluce in Jessica Pratt
La grande tragedia di Donizetti torna dopo dodici anni – dalle Terme di Caracalla invece dal 2008 - ed in grande stile, purtroppo postumo, perché l'omaggio e tributo del grande regista Luca Ronconi all'Opera di Roma è vicendevole, a poche settimane dalla perdita di colui che, insieme a Strehler, è stato uno dei grandi innovatori, prima del teatro di prosa, e poi della lirica. Con la direzione di Roberto Abbado dell'Orchestra ed il Coro del Teatro dell'Opera di Roma diretto da Roberto Gabbiani, Lucia di Lammermoor ha calcato il palco della Capitale dal 31 marzo e rimarrà fino al 12 aprile con una straordinaria voce che lodiamo da principio: quella di Jessica Pratt.
La triste e ignominiosa storia, qui è da usare proprio un termine shekspiriano visto che il Bardo proprio verso la fine del XVI secolo scrisse e fece debuttare le sue tragedie imperiture, ed inoltre ci troviamo a Ravenswood, terreno di Scozia, e quest'ultima, lo ricordiamo, è protagonista di un altro indimenticabile dramma tragico di Donizetti, la cui vicenda, ancor più nota, riguarda la prima regina della storia di Albione: Elisabetta, che condannò l'aspirante regina cattolica e scozzese Maria Stuarda – legittima erede al trono – ad essere decapitata. Altre menzogne funestano anche Lucia di Lammermoor, e sarà il fratello Enrico Ashton a corrompere oltremodo una donna che forse era stata chiamata a risanare quegli odi di famiglia scatenati da un esproprio ingiusto da parte degli Ashton sui Ravenswood, il cui unico erede, Edgardo, è l'amante ricambiato di Lucia. La tragedia tratta da The Bride of Lammermoor (La sposa di Lammermoor) di Walter Scott, celebre proprio per i suoi romanzi letterari, non lascia requie e quel che innerva la tragedia sui suoi toni più alti, sarà il male inguaribile che colpisce Lucia, ovvero la pazzia e sarà quest'ultima a solidificare il progetto originario di Ronconi ripreso dai suoi collaboratori di sempre: Gianni Mantovanini alle luci; Gabriele Mayer ai costumi; Margherita Palli alle scene ed Ugo Tessitore in regia.
I tre atti del libretto di Salvatore Cammarano sorgono nelle parole di uomini in abiti ottocenteschi tutti vestiti di nero, donne in chiaro tranne Lucia, prima in blu scuro quasi nero per il lutto della madre e dall'atto secondo quel bianco dovuto al contratto nuziale che profila già la pazzia – l'accecante bianco dell'inganno e del lutto per i popoli d'Oriente, poi macchiato del sangue dello sposo non amato Arturo -: i giochi di colore si rassegnano dunque al profilo di un carcere dai colori netti ed uniformi, solo il grigio dei condannati dietro le sbarre è diverso nei loro stracci disperati, quel Coro che prima grida la gioia e poi il dolore, splendidamente diretto da Gabbiani. Come l'aplomb di Abbado si dirige sull'Orchestra che magnificamente addensa quel suono così accorato e che profila la tragedia fin dall'ouverture, seppur all'inizio copre la voce non troppo vigorose di Enrico (Marco Caria) e del Normanno (Andrea Giovannini), che poi si udranno meglio, fin nei loro più reconditi propositi. Il primo duetto Verranno a te sull'aure di Lucia e di Edgardo (Stefano Secco), fa rilucere Jessica Pratt che già nella cavatina Regnava nel silenzio con la “suora” Alisa interpretata da Simge Büyükedes, risplende di luce propria. Molto sincronico e trascinante il duetto tra Lucia ed Enrico (Marco Caria) nel secondo atto Soffriva nel piano...languìa nel dolore ma la scena della pazzia di Lucia (Il dolce suono mi colpì di sua voce) muta Jessica Pratt in un rilucere di colori sul suono della glassarmonica originale – il glassspiel o armonica a bicchieri -, che fa esplodere meritatamente in un accorato applauso a decretare un successo completo per una prova di grandissima classe e professionalità che ha fatto brillare l'intera opera di Donizetti e memorabilmente.