Supporta Gothic Network
Teatro dell'Opera di Roma. L'usignolo tra i flessuosi canti della Fortuna
Al Teatro dell'Opera di Roma dal 14 al 20 febbraio un dittico di balletti molto particolare: Carmina Burana di Carl Orff e Le chant du rossignol di Igor Strawinskij, entrambi diretti da David Coleman sul podio e con il Maestro Gabbiani direttore del Coro, sono per il Rossignol una riscoperta e finalmente un progetto compiuto con Lorca Massine alla coreografia; mentre i Carmina Burana sono una nuova creazione di Micha van Hoecke nella coreutica insieme ad i costumi di Emanuel Ungaro.
Grazie alla fruttuosa collaborazione con il Museo MART di Rovereto, il coreografo figlio di Leonide Massine, e collaboratore da Balanchine a Bejart, - come del resto van Hoecke che ha curato il progetto Mudra di Bejart -, Le chant du Rossignol, si avvale dei costumi originali disegnati da Fortunato Depero che Lorca Massine aveva realizzato nel 1981 sui bozzetti dell'artista poliedrico. Ed al centro di tutto infatti c'è il meccanismo, tanto idiomatico per Depero quanto per l'opera di Strawinskij che si ispira ad un racconto di Andersen e che, dal 2014 sul palcoscenico dell'Opéra de Paris per richiesta di Diaghilev al compositore fulcro dei Ballets Russes, dovette attendere un secolo per essere riproposto nella sua versione originale .
Nel balletto dedicato ad un usignolo melodioso, il favorito dell'imperatore, le parti principali del Rossignol e dell'imperatore sono di Marianna Suriano e Giuseppe Depalo, insieme al Rossignol meccanico di Annalisa Cianci e la Morte di Antonello Mastrangelo: in particolare abbiamo apprezzato la scioltezza e la flessuosità di Marianna Suriano, e Annalisa Cianci, senza nulla togliere in ogni caso alle performance nei costumi coloratissimi ed “ingabbianti” di Depero per le altre parti. Strawinskij ha descritto con originalità ipnotica e orientaleggiante l'episodio dell'imperatore che tradisce l'usignolo vero per il meccanico, poi tornando indietro nelle sue decisioni vicino alla morte e salvato dal canto armonioso del Rossignol autentico, dipingendone i colori in modo enigmatico e suggestivo, che Coleman ha sottolineato con spigliatezza ben dosandoli anche nei passaggi di tempo.
I Carmina Burana di Carl Orff fanno parte di un trittico detto i Trionfi che giustamente il compositore monachense (1895-1982) ritiene il suo capolavoro: la trilogia sul tema dell'amore composta dai sovracitati Carmina Burana, dai Catulli Carmina e dal Trionfo di Afrodite, concepiti come ludi scenici, ovvero uno spettacolo di canto, danza e teatro, hanno avuto la loro prima alla Staatsoper di Francoforte l'8 giugno 1937 e da allora non si è mai alterata la loro presa sul pubblico tutto. Nati dai testi goliardici di clerici vagantes conservati nel Monastero di Benediktbeuern (da qui proviene il termine “burana”) nell'Alta Baviera, nel Codex Latinus 4660 o Codex Buranus del 1230, si trovano tuttora a Monaco nella Staatsbibliothek
I canti sono divisi in tre parti e sono in latino e tedesco. Il prologo, ripreso alla fine, è dedicato alla Fortuna, che nel nuovo balletto creato da Micha van Hoecke, interpretata con carattere da Alessandra Amato in abito da sera nero e con un cappello di piume: meraviglioso l'abito suo, come quello della Primavera di Gaia Straccamore (Flora), in opposto bianco leggerissimo, ed il rosso fiammante della Venere di Francesca Manfredi come della soprano Kathleen Kim, una delle tre voci che insieme al Coro hanno dato vita ai canti profani dedicati all'amore e ai rovesci della fortuna. I tre colori del nero, del bianco e del rosso hanno invaso la scena insieme ad un carezzante avorio che Emanuel Ungaro, per la prima volta creatore dei costumi di un balletto, ha scelto per rendere “liquido” il diatonismo ostinato della musica di Orff.
I Carmina Burana si sono avvalsi di un possente Coro, come dicevamo, diretto pregevolmente dal Maestro Gabbiani e dalla partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera, nonché del baritono Jonathan McGovern, agevole anche nella resa attoriale; e del controtenore Filippo Mineccia, solerte e poco gaudente per lui ma molto per noi, nella scena della Taverna. La Corte d'amore è un idillio tra due innamorati che si presenta nel balletto ad evidenziare il desiderio prima introdotto dal canto del baritono: i due amanti si concedono in un abbraccio sollecitato a lungo e che porta simbolicamente Venere e la Primavera insieme al vento di Zefiro (zampillante Alessio Rezza) e soffiare denso e corroborante sul palco.