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Teatro dell'Opera di Roma Schiaccianoci. La cornice sul sogno
Al Teatro dell'Opera di Roma un nuovo allestimento di uno dei balletti più celebri di tutti i tempi con le magnifiche musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij: Lo Schiaccianoci (1892), tratto dal racconto Lo schiaccianoci e il re dei topi (Nussknacker und Mausekönig, 1816) di E.T.A. Hoffmann, con la nuova coreografia di Giuliano Peparini, rimarrà in scena fino all'8 gennaio 2016, con l'appena nominata prima ballerina dell'Opera Rebecca Bianchi, nel ruolo principale di Marie; affiancata da Michele Satriano nei panni del nipote di Drosselmeyer; lo zio Drosselmeyer è Claudio Cocino e Alessio Rezza interpreta il fratellino François.
Alla base del balletto c'è la musica di Čajkovskij che, come negli altri noti balletti Il lago dei cigni e La bella addormentata, è chiaramente ispirata e istrionata dalla passione russa per gli incantevoli balletti di Delibes e Adam e che con il più “occidentale” dei compositori russi del periodo, giunge ad elevarsi alle alture sinfoniche che delle sue danze sono intessute: pensiamo alla quarta con il pizzicato-polka, alla quinta con il valzer e la sesta, la Patetica del suo gran finale, con una veloce marcetta, senza mancare l'Onegin con una marcia ed una polacca. Il balletto si annovera nella storia della musica come la prima volta che viene adoperata la celesta, strumento appena inventato e dal suono ovattato, e per cui Čajkovskij scrisse il numero della Danza della fata confetto.
Le perle di Čajkovskij sono un tessuto con una cornice di brillanti che si affaccia sul sogno, come la Marie di Peparini che, addormentata come vuole la tradizione, sogna un viaggio nella Ville Lumière in compagnia dell'amato nipote dello zio Drosselmeyer: sotto l'albero, magnificamente addobbato della scenografia curata dalla coppia Lucia D’Angelo e Cristina Querzola, e illuminato dalle luci ben cadenzate come in un viaggio nelle meraviglie dai ton sur ton, di Jean-Michel Désiré.
La prima scena che ci si presenta allo scoccare della soirée de Noël è un interno curato e famigliare, altolocato, con sinuosità da anni '40 e '50 anche nei costumi chic creati da Frédéric Olivier, completamente nuovi. Gli interni riprendono da vicino sia la prima assoluta del 1892 di Petipa al Marinskij di San Pietroburgo, sia Vajnonen che la creò nel 1934. L'albero, ammantato di neve che si screzia di colori ha un tocco meraviglioso veramente affascinante, al posto suo comparirà la cornice nella quale è situato il letto ove si addormenta e sogna Marie: il nome proviene dal racconto originale che fa parte di una raccolta piuttosto inquietante dal titolo I fratelli di San Serapione che. Hoffmann, pubblicò nel 1819, in tedesco, poi ripresa da Alexandre Dumas con Histoire d'un casse-noisette, 1844, che è quella cui si ispira la prima versione del balletto e questa del nuovo allestimento di Peparini.
Le coreografie sono indubbiamente nuove e ricche di trovate, a parte per il classico grand pas de deux, come ci informa Peparini stesso, che proviene dall'Opéra de Paris come la nuova direttrice del Corpo di Ballo, l'étoile Eleonora Abbagnato, e che vi è particolarmente legato. Le parti che abbiamo apprezzato sono infatti proprio i pas de deux della prima balletina Rebecca Bianchi con Michele Satriano nel ruolo di nipote di Drosselmeyer (che in questa versione sostituisce Schiaccianoci), tramutato in principe. La danza spagnola, con i costumi maschili dei toreri indosso alle donne, e quelli “drag” sui balletini, ci è sembrata una trovata un po' kitch; mentre la danza araba, sia coreografia sia scenografia (a parte gli occhioni finali un po' troppo televisivi), con una stroardinaria Alessandra Amato, è stata superlativa: una delle parti da soliste più difficili e che rimangono impresse di qualsiasi Schiaccianoci; nondimeno lodiamo il suo ruolo come Regina dei fiocchi di neve. Molto coquette la coreografia della cigogna con i pulcinella, tutti con le parrucche azzurrine su costumi del settecento francese. Al valzer dei fiori vi è stata un inciampo, le righe mancate sono infatti nei balli di gruppo come questo, mentre è tutto più ordinato nei pas de deux, o anche a trois o quatre. Una nota di merito al sempre vivace e preciso nella sua agile brillantezza al François di Alessio Rezza.
Un nuovo allestimento di sicuro impatto, con le gradevoli proiezioni che ritraggono Parigi a cura di Gilles Papain, che trova il suo limite negli sviluppi meno intellegibili e coerenti con il tessuto della trama, mentre ha il suo pregio nella dinamica, che sarebbe ancora più godibile se assortita con una cadenza meno effettistica che però il pubblico ha applaudito con sicuro favore a fine spettacolo. La conduzione di David Coleman si è mostrata sempre a suo agio e l'Orchestra di sicuro apprezzamento, e sempre pronta.