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Teatro dell'Opera di Roma. La torrida Andalusia di Carmen
Il più lussureggiante e variopinto tra i drammi rappresentati sul palcoscenico d'opera è la struggente, tragica, ricca di variazioni musicali, in pieno spirito iberico, la Carmen di Bizet: l'opera lirica più rappresentata al mondo, approda al Teatro dell'Opera di Roma per dieci rappresentazioni, dal 18 al 28 giugno al Costanzi, con la regia dello spagnolo Emilio Sagi e direzione del francese Emmanuel Villaume.
L'apparato narrativo da cui trae ispirazione il dramma iberico, situato in una torrida Andalusia, dove i caratteri forti degli abitanti si riflettono nella luce accecante dei paesaggi, è tratto dal racconto omonimo Carmen di Prosper Merimée, del 1845, il cui successivo libretto per Bizet fu opera di Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Bizet, su commissione dell'Opéra Comique di Parigi, piuttosto ritrosa dall'inizio alla fine, nel comandare una partitura per una tragedia che finiva con la morte di una donna – il parterre borghese che frequentava il teatro sarebbe rimasto scioccato, ed infatti la prima fu un flop -, iniziò la vera tessitura dell'opera nel 1874, e la successiva edizione per Vienna fu completata da Ernest Guiraud alla morte dell'autore nel 1875, e per farlo introdusse i balletti provenienti da La jolie fille de Perth, che Bizet compose nel 1867.
La figura centrale è quella di Carmen, la zingara, e sigaraia, che vive a Siviglia, capoluogo dell'Andalusia, dove la manifattura del tabacco è centrale allo sviluppo economico di questo porto fluviale dove le merci andavano custodite alla Torre de Oro. Impersonata da una non proprio in forma la mezzosoprano francese Clémentine Margaine nel primo cast (che sostituisce la georgiana Anita Rachvelishvili), Carmen è donna dalle passioni ardenti il cui segno precipuo resterà fissato in una parola, “Libertà”, che ripete all'infinito, anche in punto di morte:
Jamais Carmen ne cédera!
Libre elle est née et libre elle mourra!
Giammai Carmen cederà!
Libera è nata e libera morirà!
(Atto IV, scena IV).
La bella sigaraia attesa dai soldati per le sue conturbanti forme ed altrettanto rovente spirito, s'innamora però di Don José, soldato anch'egli, cantandogli la famosa habanera “L'amour est un oiseau rebelle” dove presenta subito il suo carattere errante e gitano, affermando:
L'amour est enfant de Bohème,
Il n'a jamais jamais connu de loi,
Si tu ne m'aimes pas je t'aime,
Si je t'aime prends garde à toi.
L'amore è figlio di zingari,
non ha mai conosciuto legge,
Se tu non m'ami io t'amo,
Se io t'amo attento a te.
(Atto I, scena V)
Carmen è evidentemente un'eroina romantica che sfidò i costumi sociali per un uomo che fece altrettanto, sfidando l'esercito e disertando per lei. Il dramma lirico in quattro atti Carmen, racconta della relazione tra questa donna dal carattere androgino con Don Josè. Nella storia d’amore ad un certo punto si frappone Escamillo, il torero – abbastanza adeguato nella parte l'americano Kyle Ketelsen - che ama anche lui Carmen, mentre Don Josè è amato dalla contadinella naïve Micaela, la brava Eleonora Buratto, che commuove per il personaggio patetico rappresentato. Ed è in questo incrocio di coppie che si insinua il dramma, che sfocerà nella morte di Carmen, uccisa dalla folle gelosia di Don Josè, un uomo tradito che non accetta la mediterranea potenza che Carmen incarna col suo canto libero, lo stesso che lo aveva affascinato al principio.
Le taverne, la Spagna povera del dopoguerra, anni '30 prima del franchismo, è rappresentata da un allestimento volutamente scarno a cura di Daniel Bianco; contenuta e tradizionale la regia di Emilio Sagi; i costumi invece sono a tinte accese, come quelle degli abitanti del luogo, a cura di Renata Schussheim, e passano dal rosso alle tinte invece spente di quando la passione di Don José per Carmen non si arrende di fronte al rifiuto di lei, ormai tra le braccia del torero Escamillo, che era venuto a cercarla tra le montagne dove i banditi si nascondevano insieme alle gitane.
La musica di Bizet è di un colore incredibile: le plurime variazioni – non sempre sottolineate a dovere dalla direzione di Villaume - nell'opera tutta si intessono di danze risalenti ad origini africane, emigrate in Spagna attraverso il colonialismo, come l'habanera cubana con il Contoneo, che fa oscillare i fianchi di Carmen, erotizzando la lirica nella sua stessa dimensione cantata, travalicando i confini tra canto e ballo, allacciandoli nella medesima danza che si traduce in parola. La Seguedilla, cantata da Carmen a Don José per dargli appuntanmento nella taverna di Lillas Pastia, è una danza andalusa di origine gitana:
Près des remparts de Séville
chez mon ami Lillas Pastia,
j’irai danser la séguedille
et boire du Manzanilla.
Presso i bastioni di Siviglia,
Dal mio amico Lillas Pastia,
Andrò a danzar la seguidilla
E a bere manzanilla.
(Atto I, scena IX)
Una nota particolare di merito va al tenore ucraino Dmytro Popov del primo cast, che avevamo ascoltato a Santa Cecilia nel 2009 per The Bells di Rachmaninoff: perfettamente a suo agio nella parte e nel carattere del personaggio, e che ha proposto un duetto finale nel quale spiccavano le sue doti canore, che nella prossima stagione lo vedranno protagonista a Lione con Rusalka e a Covent Garden con Traviata.