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Teatro Eliseo. Edipo ed il solco della Luce
Un doppio e completo Edipo quello presentato al Teatro Eliseo il 31 gennaio e fino al 12 febbraio prossimo: a firma di due regie diverse che completano il quadro unico di una tra le tragedie più contemporanee, sulle quali si distinguono le due letture di Andrea Baracco nell'Edipo Re e di Glauco Mauri nell'Edipo a Colono, entrambe di Sofocle.
Protagonisti nelle diverse vesti sono Glauco Mauri e Roberto Sturno, entrambi nella parte principale: Sturno per la regia di Baracco e Mauri per la sua, ben integrate nei colori e nelle atmosfere, quasi a tradurre il pubblico in un'evoluzione sistemica della tragedia greca per antonomasia, che tutti conoscono e che interroga quei gangli che, sollecitati, vibrano paurosamente tra testa e sentimenti.
L'Edipo Re di Baracco si trova in un setting postmoderno, quasi una Blade Runner paradigmatica di un androide che non conosce la sua natura così come Edipo non conosce le sue origini, in un “accecamento” plurimo aldilà del tempo cronologico, fino ad abbracciare la culla della civiltà con la sua distopica fine.
Piove sempre in questo luogo periferico e solitario che, tranne il suontuoso vestito di Giocasta, la madre profonda di quel “solco” che ha generato figli dai figli in un incesto mostruoso quanto inconsapevole – la bravissima Elena Arvigo nella parte – somiglia ad un quadrato di lamiere con una piscina melmosa al suo centro. L'acqua come emozioni che non vengono a galla, come quelle di Edipo, psicologicamente cieco di fronte al cieco Tiresia, il cui vaticinio, la cui verità, è impossibile e disperante da credere, citiamo dal testo nella traduzione di Ettore Romagnoli (nelle due regie è invece stata scelta quella pregiatissima di Dario Del Corno):
Tu aperti hai gli occhi,
eppur non vedi in che sciagure sei,
né dove abiti, né chi sono quelli
che vivono con te. Dimmi: sai forse
da chi sei nato? Dei tuoi cari, o vivi
sopra la terra, o già sotterra, tu
sei l'inimico, e non lo sai. Da questa
terra, col pie' terribile, una duplice
maledizione via ti spingerà:
del padre e della madre. E tu, che vedi
ora la luce, buio sol vedrai.
La tragedia di Edipo è la mancanza di Luce, che lui richiede con forza ed allo stesso tempo teme che scoverchi la verità della sua maledizione, da cui proviene il famoso studio freudiano che tesse le trame del complesso omonimo: la dannazione di aver ucciso il padre e di aver nidiato con la propria madre (in Freud è sublimato e superato nel bambino, non “rimosso” come in Edipo), una colpa che lo poterà ad accecarsi ed all'esilio.
In questo Edipo Re postpunk il sacerdote ed i pastori sono tutti pescatori, coperti da una cerata che li pone continuamente in contatto con quell'acqua sui cui è dapprima una carrozzella per bambini, dove sguazzano tutti ed in primis Edipo. Bravi gli attori tutti ed un iridescente Edipo nella pena che si divincola a poco a poco dai suoi tiraggi in Roberto Sturno, mentre il Tiresia di Mauri lo sollecita implacabile con una sacerdotessa dark a lato. Giocasta è una regina maestosa e amorosa, quanto angosciata dai numi, nella recitazione intensa di Elena Arvigo. L'unico borghese è un giovane Creonte, di cui Edipo diffida. L'epilogo è mostruoso.
Come in un continuum, si apre l'Edipo a Colono con la regia di Mauri su una scena bianca e nera e con tutti gli attori incappucciati: Edipo, interpretato da Mauri, è anziano e ben consapevole della sua colpa. Seguito solo dalle sue due figlie, prima Antigone – di nuovo Elena Arvigo, irriconoscibile – e poi Ismene, quando i figli lo hanno cacciato dal trono per il potere ed ora in guerra tra di loro.
In questa cornice lignea ed eburnea, quasi uno stilizzato oceano di Alma Tadema con fanciulle in fiore, l'inquietudine degli uomini incappucciati che si rivelano come Edipo, Teseo, Creonte, Polinice, fanno rabbrividire come se sorgessero dalle tenebre: quasi evocate in questa riflessione poetica e abbacinata di un Edipo alla fine dei suoi giorni e ormai consapevole di un abisso invalicabile.
Glauco Mauri svetta in questo esodo di parole che gli sgorgano dagli ultimi suoi fiati, ancor di più rispetto alla rozzezza di Creonte, mentre la maestosa ospitalità di Teseo lo accoglie e lo indirizza all'ultimo viaggio nel bosco sacro delle Eumenidi.