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Teatro Eliseo. Eduardo ed il difficile dialogo con l'Autorità
Mettere in scena Eduardo, per una serie di motivi che sarebbe ridondante discutere, non è mai una passeggiata. Per questo ci sembra opportuno partire dalle dichiarazioni ormai datate di Michele Sinisi, che con la compagnia del Teatro Minimo di Andria già da un po’ porta in giro, con successo, L'arte della commedia: “Dopo il furto del camion delle scene de Le Scarpe, nella notte precedente al debutto su Roma, è stata dura andare avanti. Tanto mi ci è voluto per indossare la giacca e anche solo immaginare nuove storie con Santeramo, appassionarci a belle idee. Ho scritto a Luca De Filippo raccontandogli l'accaduto come motivo della scelta di mettere in scena L’arte della commedia. Lui ha concesso il permesso per la prossima stagione. Sono molto contento di ciò e comincio per questo a vedere il volto di Eduardo in platea dal primo giorno di prove. Gli prometto di portare in scena questa storia, cucita sulla mia pelle”.
E ciò rende evidente non solo quanto l’opera sia sentita, da parte di chi la sta ora (re)interpretando, ma anche come la realtà si sia interfacciata in modo curioso, beffardo e anche stimolante, per certi versi, con la finzione scenica. Coloro che già conoscono quest’opera di Eduardo De Filippo faranno poca fatica a mettere in relazione le affermazioni citate poc’anzi, con queste altre, sempre pronunciate da quel Sinisi regista e co-protagonista dello spettacolo: “Credo che ciascuno di noi nella propria vita prima o poi incontra il proprio Prefetto. Una o più volte purtroppo ci capita di vestire i panni di Campese nonostante la stanchezza e gli schiaffi ricevuti. Con molta dignità però mettiamo la giacca, facciamo il nodo alla cravatta e andiamo di primo mattino a parlare di noi, colla speranza che il Prefetto ci stringa la mano e dica: sì. Ahimè, non di rado però il Prefetto, comunque essere umano pure lui, risponde al nostro desiderio di ascolto con lo scherno o ancora più cinicamente con l'indifferenza. A me fa male. Però finisco per ingoiare il rospo perché sono stato educato a non distruggere ogni probabilità anche minima che le cose possano migliorare. Ma in certi momenti, quando la misura non la trovo malgrado l'impegno, finisco per agire perché bisogna anche compensare il vortice delle proprie emozioni. Allora succede che al Prefetto chiedo il rispetto che comunque si deve ad un essere umano che ha solo sperato in una stretta di mano accompagnata da un sì. Non che si pretenda di scrivere tutti i finali ma è giusto penso desiderare l'ascolto.”
Ecco, venendo al punto, in tale spettacolo Sinisi interpreta proprio quel Campese, capocomico frustrato da episodi avversi, che per tentare di risolvere una situazione divenuta complicata sia per lui che per i propri sodali, membri di una piccola compagnia di giro a conduzione famigliare, tenta un difficile dialogo con l’autorità. E l’autorità, nelle vesti del prefetto insediatosi da poco in città, mostra in questo caso non tanto il suo volto più greve, quanto piuttosto un atteggiamento ambiguo che risulterà ad ogni modo classista, punitivo, arrogante. Ma nella beffarda, a tratti malinconica, per certi versi pirandelliana commedia di Eduardo il difficile rapporto dell’arte con il potere interseca, con arguzia e sfoderando una drammaturgia decisamente brillante, anche altre riflessioni sul perché del fare teatro. E in tal senso le battute iniziali di Campese, recitate in platea col sipario ancora chiuso e a luci accese, sembrano instaurare un dialogo quasi fraterno col pubblico.
Michele Sinisi rivela quindi un visibile coinvolgimento emotivo, fatto di parole ripetute, pause emblematiche e altre ruvidezze verbali, nel dar voce alla scontentezza del suo personaggio con una umanità ora pacata e ora più accesa. In fondo, però, è l’intero cast dello spettacolo, in particolare i bravissimi Michele Altamura e Vittorio Continelli, ma anche Nicola Conversano, Simonetta Damato, Nicola Di Chio, Patrizia Labianca, Riccardo Lanzarone a Gabriele Paolocà, ad arricchire di sfumature sanguigne e veraci la tragicomica situazione, delineatasi poi negli uffici del prefetto De Caro. Allorché la vitalità del teatro e dell’esperienza artistica, in seguito alla sfida lanciata dal capocomico al supponente burocrate, prenderà il sopravvento, i confini della rappresentazione stessa si estenderanno; fino ad elencare frammenti di vita dai toni assai veritieri, quand’anche la reale identità dei personaggi comparsi sul palco, tra virate farsesche ed equivoci a tratti irresistibili, sia destinata a rimanere costantemente in discussione.