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Teatro India. Pirandello secondo Ronconi
In scena dal 2 al 28 marzo al Teatro India di Roma, In cerca d'autore è, come riporta il sottotitolo, un inedito studio di Luca Ronconi sui Sei personaggi di Luigi Pirandello, interpretato dai diplomati all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica “Silvio D'Amico”. Lo spettacolo, presentato al 55° Festival dei Due Mondi di Spoleto (2012) e replicato al Piccolo Teatro Studio di Milano, è la prima messa in scena del maestro Ronconi del capolavoro pirandelliano e nasce dall'esigenza di liberarlo dalle stratificazioni di ottant'anni di allestimenti fino a recuperarne la purezza drammatica, nonché la sua profonda attualità.
L'azione comincia con una non-azione. Gli attori, emersi a uno a uno dal fondo della platea, vanno ad assumere la posa loro destinata e, immobili, attendono che la parola drammatica dia loro vita. Il palcoscenico che li racchiude è uno spazio asettico e astratto, più vicino allo stanzone di un manicomio che a una sala prove di un teatro. La luce che li avvolge è gelida, chirurgica. Le prove hanno inizio, va in scena Il Gioco delle parti di Pirandello. Improvvisamente, come dei fantasmi, entrano i sei personaggi. Sei figure inquiete vestite di scuro che dicono di cercare un autore. Quale autore? Chiede sbalordito il capocomico (Davide Gagliardini). Uno qualunque, risponde il padre (Massimo Odierna) dell'insolita famiglia, composta da madre (Sara Putignano), figlio (Fabrizio Falco), bambina (Elisabetta Misasi), giovinetto (Paolo Minnielli) e figliastra (Lucrezia Guidone). Sei personaggi partoriti dalla mente di un autore li ha poi abbandonati senza mai rappresentarli. E adesso vagano in balia del dramma incompiuto che li ha generati, in attesa che qualcuno li faccia (ri)vivere sul palcoscenico.
Rispetto alla versione originale, Ronconi decide di ridurre le parti del testo dedicate alle prove degli attori e concentrare di più l'attenzione sul dramma familiare ed esistenziale dei sei. Ciascuno di loro come afferma lo stesso Ronconi, non è rappresentato dagli attori, bensì da vissuto dall'interno nel dramma da cui scaturiscono e a cui fatalmente fanno ritorno nella coazione a ripetere del teatro e della vita. Tuttavia, il livello metateatrale dell'opera, pur conservato, passa in secondo piano rispetto all'enucleazione del tema dell'orrore, consustanziale alla vicenda dei sei e qui, ancora di più, eco infinito del trauma della nascita. Ed ecco che proprio l'orrore, da cui i personaggi fuggono ma alla cui rappresentazione devono indulgere per sentirsi vivi, (de)forma iperbolicamente i loro caratteri e i loro gesti. Mentre il padre si discolpa col suo linguaggio ambiguo e mellifluo, la madre è come immortalata nel proprio dolore, incapace di ogni reazione al di fuoi di esso; mentre il figlio rasenta le pareti come per sfuggire al dramma dell'eterna messa in scena, la figliastra, esaltata e sguaiata, esteriorizza fisicamente la violenza e la vergogna che si porta dentro e che intende trasformare in vendetta contro il padre violentatore. Essa è il vero personaggio chiave dello spettacolo, iperbole naturalistica di eros e thanatos, che compie il suo destino cuasando la morte dei suoi fratelli minori. L'orrore di cui è vittima nel testo di Pirandello, qui, nella lettura, attualissima, di Ronconi, si fa ancora di più disperazione, sentimento primario di un mondo che interpreta se stesso all'infinito senza comprendersi. Purtroppo però il parossismo a cui la recitazione – in particolare proprio quella della figliastra – è sottoposta, finisce per aggredire lo spettatore, tenendolo a distanza per tutta la durata dello spettacolo e raffreddando le emozioni.