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Teatro Keiros. Dal bianco al nero: Tina Modotti e l'ode alla fecondità
La figura di Tina Modotti, entrata quasi nella leggenda, come quella della sua amica (e forse amante) Frida Kahlo, si presenta al crocevia delle più grandi correnti artistiche e dei più tragici avvenimenti politici del XX secolo. Fotografa, attivista del movimento operaio internazionale e attrice, ha sintetizzato in sé tre dimensioni di impegno che erano in gran parte precluse alle donne, all'inizio del secolo scorso. A lei Monica Giovinazzi ha dedicato una scarna ma intensissima performance teatrale, nel piccolo Teatro Keiros di Roma, andata in scena il 26 e il 27 maggio 2017.
Non a caso il titolo dello spettacolo era Ode alla fecondità in 10 quadri: la fecondità simboleggia la forza e l'energia prorompente che emana dalle sue fotografie, in cui l'artista usava il mezzo tecnologico come il pittore usava il pennello. I suoi scatti in bianco e nero esprimevano un'immediatezza plastica prorompente, ma allo stesso tempo sembravano alludere a una dimensione eterna e atemporale. Il suo amico Diego Rivera, pittore e rivoluzionario, ebbe a dire di lei: "Tina Modotti esprime una profonda sensibilità su un piano che, pur tendendo all'astrazione, è senza dubbio più etereo, e in un certo senso più intellettuale, perché trae linfa dalle radici del suo temperamento italiano. La sua opera artistica è fiorita però in Messico, raggiungendo una rara armonia con le nostre passioni".
Alla performance Monica Giovinazzi premette un'intensa e significativa poesia: un essere fecondo vuole generare/generosamente s'applica ad ogni azione/e fiorisce intorno/segnano la sua terra gesti e sguardi sgarbati/soffoca e muore/ma non a lungo. Così, ha voluto esprimere l'intreccio tra arte e vita: la fecondità è il prodotto della volontà artistica formativa, del "modo di formare come impegno sulla realtà", per riprendere una vecchia espressione di Umberto Eco. Sono le azioni ciò che viene rappresentato nelle fotografie di Tina Modotti, anche quando sembrano statiche: non a caso sceglie la fotografia come mezzo espressivo, e di concentrazione sul qui e ora.
Concentrazione vuol dire saper scegliere l'attimo giusto in cui effettuare lo scatto, saper dosare efficacemente la relazione tra la luce e le ombre per definire l'unico scatto possibile: le sue foto continuano a suscitare interesse perché posseggono quello che Roland Barthes chiamava il punctum "qualcosa di particolare che mi punge". Monica Giovinazzi e gli altri due attori, Barbara Berardi e Vincenzo Casaburo, riescono a trasformare le fotografie della Modotti in una sequenza di parole e azioni, scandite dai suoi evocativi scatti, che diventano quasi delle sceneggiature iconiche. Anche un atto apparentemente banale come cambiarsi d'abito diventa un modo per capire il suo sguardo sul mondo e sulla drammatica storia del Novecento: Tina Modotti, nata nel 1896 a Udine, emigra negli Stati Uniti, a San Francisco, nel 1913, dove inizia a fotografare insieme a Edward Weston, di cui diviene la modella e l'amante, trasferendosi per alcuni anni in Messico. Ma le sue peregrinazioni non si arrestano qui: torna in Europa, prima a Berlino e poi a Mosca. Ma dal 1930 smette di fotografare, per votarsi a un impegno politico assoluto, come membro del Soccorso rosso internazionale e forse anche del KGB: il suo ruolo durante la guerra civile spagnola e nelle trame che portarono all'assassinio di Trockij dopo il suo rientro in Messico, terra che ospitava l'esule rivoluzionario russo, sono ancora oggi circondate da mistero.
Un mistero che questa sorta di "documentario teatrale" riesce perfettamente a rendere, senza pretendere di svelare nessun'essenza segreta che l'artista stessa non avrebbe comunicato. Per Monica Giovinazzi, "il documentario teatrale è un gesto con cui intende restituire attenzione ad artiste/i" liberandoli dall'irrigidimento di "cliché e apparati critici". Con questa formula l'artista viene affrontata nella sua integrità, rispettandone le forme espressive e le formule abituali.
Documentario teatrale qui vuol dire anche modo per trasformare la fotografia in input attivi, creando quasi dei link aperti che più che fornire risposte definitive "provocano2 il pubblico con questioni per loro natura irrisolubili. La stessa Tina Modotti, nella sua irrequietezza di emigrante perenne, ogni giorno si poneva probabilmente interrogativi a cui non era in grado di fornire risposte definitive, ed era capace di partire solo con il vestito che indossava. Come fu improvvisamente pronta ad abbandonare la mitica Speed Graphic, la mitica macchina fotografica della Graflex, per votarsi anima e corpo a una causa, o meglio alla Causa politica, salendo sul treno per Mosca, e mutando sé stessa con un'incredibile capacità metamorfica e un'inconsueta capacità linguistica, che le consentiva di passare disinvoltamente dall'inglese allo spagnolo o dal tedesco al russo.
Nello spettacolo traspare anche la splendida poesia che Pablo Neruda le dedicò, che esprime al meglio il suo amore per la vita, più che la personalità di donna fatale e di musa o spia: Puro è il tuo dolce nome,/pura è la tua fragile vita/ape, ombre e fuoco,/neve, silenzio, spuma uniti/ad acciaio, filo e polline/per costruire la tua ferrea/la tua esile struttura.
Forse la sua decisione nacque anche dalla consapevolezza che lo sguardo necessario per immobilizzare in un istante con lo scatto fotografico il fluire della storia era condannato a restare indietro, a essere troppo lento per le esigenze del momento, in prima linea sul campo di battaglia o nel pieno di un moto rivoluzionario. Il suo sguardo è obbligato a guardare il mondo senza il filtro di un obiettivo e i suoi grandi occhi neri sono sempre più stretti e semichiusi
In scena troviamo due attori e una regista/attrice che orchestra una sorta di continuo passaggio dal bianco al nero, tramutati in sfumature chiaroscurali. Viene così ripensata una vita che continua a parlarci a distanza di tempo e di strati interpretativi, scandendo una memoria magmatica e non lineare, che affida a noi la testimonianza del tempo e degli eventi al di là del mezzo tecnico usato per immortalarli.