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Teatro Orologio. No, una pièce antipunk
Al Teatro dell'Orologio di Roma, dal 12 al 24 marzo 2013, un progetto di Afrodita compagnia Teatro Mobile si avvicenda sulle scene della Sala Orfeo: No, la pièce teatrale bilingue e musicale di Sara Clifford e Denis Baronnet dipinge la vicenda biografica di una cantante punk dal ’77 al 2013 con le musiche originali di Denis Baronnet e Jérôme Castel.
Se avessimo dubbi sul fatto che la scritta “Punk's not Dead” sia ormai definitivamente obsoleta e anacronistica, questa pièce teatrale che definisco antipunk, ci toglierà ogni recondito dubbio. La vita disastrata di Sid Vicious, qui presente come fantasma interpretato da Adam Horowitz, lo conferma: facendo da contraltare alla “in vita” di Carol Anne, - nella parte recita Claudia Della Seta, direttore artistico di Afrodita Compagnia -, donna sui cinquanta che torna a Parigi dopo aver scoperto che la sua canzone dei primi del '77, ovverosia “No”, che dà titolo al dramma, è stata carpita da due giovani francesi della scena postpunk.
Arredo tutto bianco, a significare un Néant, un Nulla con le maiuscole, quello Zero che il punk strombazzava a tutto fiato e che solo da parte di alcuni musicisti come Bauhaus e Siouxsie and the Banshees o Clash e Killing Joke (tanto per citarne alcuni), è diventata seria attività musicale e/o politica, lasciando i Sex Pistols dietro ad un grido di battaglia nichilista che è terminato in una stagione (quella di Never mind the Bollocks del 1978), che tuttavia è servito a farlo conoscere e ad esprimere quella rabbia contro l'Austerity e l'ipocrisia dell'era thatcheriana.
Purtroppo quello che è più rappresentato in questa pièce è il declino del punk, ed anche la naïveté di una ragazzina – la protagonista - che nel 1977 aveva tra i 15 ed i 17 anni, e che pensava innocentemente, che quella canzone “No”, quel grido di protesta, le avrebbe aperto chissà quali porte, mentre 35 anni dopo scopre che è diventata la pietosa sigla di una campagna di marketing, alla faccia del punk!
Beh, se pensiamo che le borchie – e si notava anche qualche anno fa – sono diventate di moda sulle borse come sulle scarpe, che l'incrocio di colori impossibili (come il rosso ed il viola), che i capelli colorati di viola o di blu, etc etc., sono “fashion” appunto, ci rendiamo tutti conto che se c'era qualcosa che promulgava il punk, questo non era solo l'identificarsi in abiti stracciati e neri, pronunce aggressive di capelli dritti a cresta, ma tutt'altro. E questo, forse, nella pièce non c'era, eliminando tutta quella profondità che c'era nell'aggressione al sistema, nella provocazione non fine a sé stessa, nell'alito di vitalità che la rendeva una protesta per certi versi sana, se ben incanalata su contenuti saldi, e se non lasciata svikuppare solo in senso superficiale.