Supporta Gothic Network
Teatro Palladium. La memoria di Aldo Moro
Il 9 dicembre 2016 il Teatro Palladium di Roma, consociato con l'Università di Roma Tre, ha visto la première dell'opera Un'infinita primavera attendo, su libretto di Sandro Cappelletto e con le musiche di Daniele Carini. Al centro dell'opera è la figura del grande statista Aldo Moro, di cui quest'anno si celebra il centenario della nascita. Contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, l'opera non ruota intorno al sequestro, alla prigionia e al tragico epilogo della vicenda terrena del politico pugliese, sequestrato e poi assassinato dalle Brigate Rosse nel 1978.
Cappelletto non ha inteso ridurre la vita di Moro ai cinquantacinque giorni in cui l'uomo politico democristiano ha subito una condizione estrema e crudele di violenza, torture psicologiche e privazioni esistenziali. È sulla sua statura politica che viene invece posto l'accento, fin dalle prime battute dello spettacolo, quando viene proiettato un video dove compare una ragazza, prima che si alzi il sipario. È la giovane dell'Italia del XXI secolo l'emblema dell'interrogarsi sulla nostra storia recente. È a lei che bisogna chiedere che cosa potrebbe esserne oggi dell'eredità di Moro, del suo progetto politico, delle sue certezze e insieme dei suoi dubbi, tutti affidati a un'inesausta volontà di dialogo, di ascolto e insieme di comprensione. Volontà che univa un'enorme fiducia nel potere della parola, un'incrollabile fedeltà ai valori dell'Italia repubblicana e una fede cattolica vissuta in modo profondo, ma mai in un'ottica intollerante ed esclusivista.
C'è una profonda frase di Moro da cui sono partiti gli autori: “Non sono mai cattive le cose che vengono dette con sincerità. Invece, non sono utili le cose che si nascondono, che si riducono a serpeggianti mormorazioni”. Usando i testi dei suoi discorsi e delle sue interviste, delle lettere e degli appunti, viene costruita una sceneggiatura che non è né un'agiografia, né la descrizione di una tragedia individuale. Si insiste semmai sul ruolo politico di Moro nell'Italia degli anni Settanta: il lavoro di tutta una vita era già quasi compiuto con il cosiddetto "compromesso storico", ma il progressivo isolamento e accerchiamento che lo colpì negli ultimi anni impedì che il suo lavoro potesse essere duraturo, tanto più che venne macchiato dal sangue suo e della scorta.
Il sipario cala sulla pièce un attimo prima del rapimento: si suggerisce come il tragico epilogo suggelli la vicenda di un uomo che aveva tentato di combattere dall'interno contro un sistema di potere del tutto alieno dal soddisfare le autentiche aspirazioni e le vere esigenze del Paese. Alla fine, mirare a un progetto di alta politica, che superasse i particolarismi e i meschini calcoli utilitari, finì per coalizzare contro Moro tutte le forze che puntavano al mentanimento dello status quo. Il regista, Cesare Scarton, è riuscito a tradurre queste tematiche in un difficile tentativo di teatro musicale contemporaneo, complici anche le musiche di Daniele Carnini, originali ma non protese all'avanguardia pura.
Proprio perché le vicende narrate sono molto recenti, si è tentato di astrarre da ogni dimensione realistica per proiettarle in uno spazio di valori universali. Assistiamo quindi a una serie di incontri/scontri che potrebbero quasi venir interpretati come una via crucis metaforica, con personaggi che simboleggiano, a livello nazionale e internazionale, le varie componenti della società intorno a cui ruota la vita del protagonista. Mentre i suoi antagonisti si oppongono a una società che potrebbe spiccare il volo verso il futuro, il protagonista assume come suo motto il guardare non al domani, ma addirittura al dopodomani.
Visione del mondo che ben traspare nei versi finali: "Un'infinita primavera attendo,/avida, palpitante, già la sento vicina/e non posso rinunciare né voltarmi./Un'infinita primavera attendo./Sciogli l'attesa, non esitare,/il calice è colmo./Sia la tua parola sì, sì, no, no, hai detto/e tutto il resto è male./Hai detto: ed ora/si può solo tacere./Tu ci hai donato l'attesa,/e io ti aspetto, da sempre:/come un'infinita primavera". Versi cantati con grande intensità dal tenore Daniele Adriani, nei panni di Moro. E anche gli altri cantanti/attori non sono stati da meno, interpretando il testo con notevole coinvolgimento e meditata passione, assecondati dall'efficace Roma Tre Orchestra diretta da Gabriele Bonolis.