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Teatro Vascello. Il processo di Franz Kafka. Un'ossessione narrativa diventata teatro
Il 6 gennaio scorso, nella venue del Teatro Vascello di Roma, abbiamo assistito alla seconda rappresentazione, dopo la première del 5, de Il processo (Der Prozeß) di Franz Kafka. La pièce sarà in scena fino al 15 gennaio 2012 con l'adattamento e la regia di Andrea Battistini e le perturbanti scenografie di Carmelo Giammello.
È noto che il testo originario è un romanzo, ma il suo adattamento e la sua messa in scena da parte di Andrea Battistini indicano chiaramente che la narrazione kafkiana non può essere ridotta nei limiti di un genere letterario. La sua trasposizione teatrale fa quasi pensare che se Kafka avesse deciso di diventare un autore di drammi per il palcoscenico non avrebbe certo prodotto opere “minori” rispetto ai suoi tre grandi romanzi.
Del resto, la bravura di Battistini è riuscita persino a trasformare in dialoghi le parti puramente narrate del testo di Kafka, rimanendo fedele all’autore.
Lo spettacolo è introdotto da una musica ossessiva, scandita da una strumentazione elettronica, a metà tra cupe sonorità ambient e armonie classiche del primo Novecento, con tutto il loro carico greve di dissonanze: sembrava di compiere un cammino a ritroso dai paesaggi lunari di Brian Eno e Jon Hassell al Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg.
Quasi come un incipit della creazione, viene pronunciata la fatidica frase: “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. Poiché un mattino, senza che avesse fatto nulla di male, egli fu arrestato…”. In una sorta di preludio, si sottolinea l’imperscrutabilità della Legge, tematica di netta derivazione ebraica (già adombrata da Kafka nel racconto Vor dem Gesetz, Di fronte alla legge): “le nostre autorità, per quanto le conosco, e conosco solo i gradi più bassi, non cercano, per così dire, la colpa nella gente, ma vengono attirate, come è detto nella legge, dalla colpa, e debbono inviare noi guardie”.
La trama del testo kafkiano è semplice e apparentemente lineare: il protagonista, Joseph K., viene processato e condannato a morte per una colpa probabilmente non commessa concretamente, ignota e inaccessibile. A quest’incomprensione e a quest’alienazione si accompagna un angoscioso senso di colpa, che ha fatto versare fiumi di inchiostro alla critica di matrice psicoanalitica (e non a caso in una brano poi cancellato nel manoscritto lo stesso Kafka osserva come nel sonno e nel sogno ci si trova in uno stato diverso dalla veglia: occorre un’infinita presenza di spirito per ritrovare tutte le cose al loro posto appena aperti gli occhi). Infine l’ordine e la sentenza delle oscure potenze vengono eseguiti: Joseph K. viene ucciso da due misteriosi personaggi: “come un cane – disse, e fu come se la vergogna gli dovesse sopravvivere”.
Dal punto di vista scenografico, lo spettacolo si giova della struttura ideata da Carmelo Giammello, che gli conferisce, con mezzi minimalisti - l'interno di una pensione con una serie di porte che serviranno ad aprire anche altri luoghi e a rappresentarli dentro la scena con una serie di macchinari appositi -, una rapidità cinematografica, che lo riscatta dalla relativa staticità della trama.
Notevole il fatto che personaggi differenti siano incarnati nelle medesime facce, che ossessionano Joseph K. (il poliedrico Giovanni Costantino) in una sorta di fuga infinita. Raffaella Azim interpreta tutti i personaggi femminili, riproducendo in modo originale la visione della donna in Kafka, quasi il rovesciamento dell’eterno femminino di Goethe. Totò Onnis invece rappresenta le varie incarnazioni dell’autorità e della Legge, dal prete al padre, fino all’ispettore di polizia. Filippo Gili è invece il multiforme Avvocato ben inserito nell'intricato potere della Legge. Di particolare effetto sono risultate alcune scelte scenografiche, come l’uso delle bambole e alcune componenti di una sorta di circo itinerante, che hanno conferito alla messa in scena un carattere particolarmente surreale.