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Trame di virtuosi al Quirinale tra Poulenc e Weill
La sontuosa Cappella Paolina del Quirinale nella giornata del 10 novembre 2013 ha visto l’esibizione di un magnifico trio, composto da Elisa Papandrea al violino, Alessandro Carbonare al clarinetto e Monaldo Braconi al pianoforte. Il concerto si è svolto nell'ambito della manifestazione "I concerti del Quirinale di Radio 3", con la sapiente e precisa conduzione di Michele Dall'Ongaro, che ha pure introdotto i singoli brani in diretta radiofonica.
L’esordio è costituito dalla suite da camera di Francis Poulenc tratta dalle musiche di scena per il dramma di Jean Anouilh L'invitation au Château (si tratta di una commedia satirica, scritta nel 1947, imperniata sulla vicenda di due gemelli, Hugo, un freddo e manipolatore playboy, e suo fratello Frédéric, di indole più sensibile, entrambi innamorati di Diana, la figlia viziata di un milionario). Il trio mostra, già dalle prime note, una notevole perizia nel dosare le varie parti della pièce, in cui il clarinetto funge quasi da mediatore tra i timbri possenti del pianoforte e le soavi e struggenti melodie del violino.
La perizia strumentale e la superba tecnica che tutti e tre i musicisti posseggono emergono però nella loro pienezza soltanto nel secondo brano in programma, ossia la suite da L'histoire du soldat di Igor Stravinskij. La suite per pianoforte, violino e clarinetto venne elaborata dallo stesso compositore nel 1919, ovviamente sulla base della più complessa partitura per organico orchestrale.
La musica scissa dal libretto dell’opera (che non è un vero melodramma, ma un mimogramma, ossia una sorta di commedia con un narratore e delle voci dialoganti, accompagnate da una ricca coreografia) si presenta come un singolare caso di “musica a programma”, che riesce perfettamente a riprodurre l’atmosfera da “Faust satirico” tipica dell’opera, ispirata a un racconto russo di Aleksandr Nikolaevič Afanas'ev (dalla trama notevolmente complessa, ruotante intorno a un patto stretto tra un soldato suonatore di violino, Joseph, e il diavolo che propone di barattare lo strumento con un misterioso libro che permetterà al militare di accumulare incalcolabili ricchezze, ma che alla fine gli riuscirà fatale).
La partitura è estremamente varia e policroma, con un sincretismo di stili, che combina una marcia con un valzer e trascorre da un corale bachiano al tango argentino, fino a un ragtime tipico del jazz che Stravinskij utilizzerà per molte altre partiture, come il Ragtime per 11 strumenti (1918) e la Piano Rag Music del 1919, dedicata ad Arthur Rubinstein. Per molti versi si può dire che la musica che qui Stravinskij usa sia la trasposizione sul piano sonoro delle tecniche tipiche del movimento pittorico cubista, al quale per un certo periodo si sentì vicino anche Pablo Picasso, che di Stravinskij era grande amico.
I tratti “cubisti” si possono rilevare sia nell’effetto distorcente e straniante dato dalla continua metamorfosi della musica rispetto all’andamento narrativo e fiabesco del soggetto (Picasso stesso diceva di amare soprattutto le cose in continua trasformazione, che compivano continui salti nell’alterità), sia nel fatto che al posto delle tradizionali melodie troviamo motivi frammentari, con continui cambi di tempo e mutamento di stili, con ritmi sincopati e accenti spostati, cellule ritmiche mutevoli e usi deformati dei timbri strumentali: tutto ciò ricorda la dislocazione casuale degli oggetti rappresentati tipica della pittura cubista, in cui l’osservatore è costretto a cambiare punto di vista, scomponendo le parti del quadro per poterle guardare contemporaneamente sotto tutti gli aspetti.
Come racconta lo stesso Stravinskij, “la musica mi si è qualche volta presentata in sogno (...). Fu durante la composizione dell'Histoire du soldat, e fui sorpreso e felice del risultato. Non solo la musica mi apparve ma anche la persona che la suonava era presente nel sogno. Una giovane zingara seduta sul ciglio della strada. Aveva in grembo un bambino e per intrattenerlo suonava il violino. (...) Il bambino era molto entusiasta di quella musica e l'applaudiva con le manine.” (Igor Stravinskij e Robert Craft, Colloqui con Stravinskij, Torino, Einaudi, 1977).
Nel primo tempo (la "Marcia del soldato", che dell’opera rappresenta il filo conduttore) il suono degli strumenti sembra emergere gradualmente a tinte sempre più nette da un originario caos improvvisativo, con un attacco repentino non preceduto dal silenzio rituale tipico che si riscontra in molti brani tradizionali per piccoli ensemble strumentali.
In questa suite spicca il virtuosismo e l’assoluta padronanza tecnica dello strumento principale della violinista Elisa Papandrea, che abbiamo già apprezzato in altre occasioni, tra cui le sue interpretazioni nell’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia; sovrano nell’uso del suo strumento è anche il clarinettista Alessandro Carbonare, che sa modulare lo strumento in tutti i tempi e in tutti gli stili con mirabile disinvoltura. Il pianista Monaldo Braconi, dal canto suo, è in grado di restituire tutto il complesso impasto timbrico delle partiture con impassibile e olimpica nonchalance.
I musicisti sono messi costantemente alla prova dal continuo cambio di tempo, rilevabile soprattutto nella quarta parte (Tango-Valse-Ragtime), che sanno come affrontare senza problemi, anche quando gli strumenti procedono “per moto parallelo”, combinando omogeneamente i vari timbri (soprattutto nella combinazione di violino e clarinetto) e ricordando la sintassi dell’accostamento delle immagini in un film: del resto si tratta di un arte, quella del cinema, che si stava sviluppando proprio quando Stravinskij compose questo brano.
La suite si conclude con la "Danse du diable", in cui il soldato-disertore è costretto a seguire le sonorità del violino ormai in possesso del diavolo, che si impadronisce della sua anima. La musica vira decisamente verso ritmi ossessivi, e la violinista riesce mirabilmente a riprodurre i vortici ripetitivi delle melodie, alternando l’archetto al pizzicato, mentre il clarinettista sembra quasi un pifferaio magico che intona una melodia atta a riprodurre i movimenti meccanici del soldato ormai privo di forza di volontà, in quanto succube del demonio e delle sue trame.
Il concerto prosegue con la Ballata dall’opera Porgy and Bess di George Gershwin, nell’arrangiamento di Robert Russell Bennett: i musicisti suonano all’unisono con toni stupendi.
Dall’Opera da Tre Soldi (Die Dreigroschenoper) di Bertolt Brecht troviamo invece una variazione sul tema principale con il titolo "Threepenny in the Dark", ad opera del compositore Anton Giulio Priolo, con l’organico del trio che si trasforma quasi in un terzetto jazz. Notevole l’uso del pizzicato da parte della violinista e il clarinetto che simula il bebop.
La conclusione è affidata a Blitspost del compositore, sassofonista e clarinettista bavarese Reiner Kuttenberger, pezzo di insolita atmosfera neoromantica, con evidenti influssi sia dal jazz contemporaneo, sia dalla tradizione della musica klezmer, originatasi nell'ambito delle comunità ebraiche ashkenazite dell'Europa orientale. Un breve bis dello stesso Kuttenberger chiude il concerto con fragorosi applausi.