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Tutto tutto niente niente. La Santissima Trinità dell'umorismo di Antonio Albanese
Lo avevamo lasciato alle prese coi bizzarri comportamenti di Cetto La Qualunque e con l’amministrazione clientelare, ma definirla “clientelare” è dir poco, di un paesino del meridione. Ora la comicità surreale di Antonio Albanese è tornata. Cetto La Qualunque è tornato. Ma non si è presentato da solo all’appuntamento. Quasi a comporre una santissima trinità dell’umorismo più stralunato e sfrontato, ecco accanto a lui il secessionista Olfo e il fumatissimo Frengo, protagonista quest’ultimo di un graditissimo ritorno, per chiunque ne avesse seguito le imprese nella cornice televisiva di Mai dire gol.
Un po’ come il Verdone dei bei tempi andati, in Tutto tutto niente niente Antonio Albanese riesce a dar vita con incredibile verve, mescolando peraltro personaggi di conio recente con l’azzeccatissima riesumazione di Frengo, a tre iridescenti figure dotate ognuna di un appeal irresistibile, figure che sommate tra loro e con altri soggetti non meno pittoreschi costituiscono l’efficace ritratto di un’Italia truffaldina, grottesca, corrotta, cinica e ormai alla frutta. Rispetto al capostipite Qualunquemente, il nuovo film sembra innanzitutto spostare l’asse della satira dal caso particolare a quello generale, ovvero dai miasmi putridi di un’amministrazione locale a quelli ancor più venefici della politica nazionale. Tutto ciò con un gusto dello sberleffo studiato ad arte, s’intende.
Già nelle premesse di questo buffo racconto cinematografico, concepito da Albanese insieme a Piero Guerrera per essere poi affidato alla regia diligente di Giulio Manfredonia, si intravede quel tono paradossale che assumerà strada facendo contorni quasi psichedelici: facendo un po’ il percorso contrario a quello di certi politici nostrani, i tre personaggi interpretati da Albanese verranno infatti ripescati direttamente dal carcere (dove ciascuno di loro era finito per motivi diversi) da un potente sottosegretario (personaggio, questo, interpretato magistralmente da Fabrizio Bentivoglio) in forza allo squallido e sempre più pericolante consiglio dei ministri, trovatosi nella necessità di rimpiazzare alcuni parlamentari con gente di propria fiducia. Ma non tutto andrà secondo i piani…
Il respiro del film, insolito per le produzioni comiche attuali, è dato da una serie di elementi tra cui spicca senz’altro il proficuo interagire delle sapienti maschere di Albanese, dotate di una gestualità e di invenzioni linguistiche che fanno subito presa, con una vasta galleria di personaggi alcuni dei quali memorabili: oltre all’istrionico Bentivoglio, che pare quasi un fantoccio democristiano di Todo modo rapportato all’oggi e reso ancora più grottesco, merita di essere ricordato lo strepitoso cameo di Paolo Villaggio; come anche le fanatiche religiose che scopriamo esser parte della famiglia di Frengo, strano ensemble in cui spiccano Lunetta Savino e Viviana Strambelli; come la presenza muta ma a suo modo assai eloquente del comico Vito; come il frate (impersonato dal simpatico Bob Messini, ex Trio Reno) passato in un battibaleno dall’impartire lezioni di spiritualità al “fumarsi l’impossibile”.
Queste figure così immediate, pungenti, si muovono in uno scenario romano che ne amplifica la comicità grazie alla caratterizzazione sgargiante, ultra-pop, di ambienti resi oggetto di una satira sfacciata: dalle udienze papali al conturbante Palazzo della Politica, epicentro di tutte le farsesche volgarità dei tempi odierni, il nucleo stesso del potere si sgretola davanti allo sguardo irriverente di Antonio Albanese e di chi ne ha appoggiato l’ispirazione, a partire da costumisti, truccatori e scenografi, per garantire la riuscita di questa coloratissima e travolgente sarabanda.