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Udine. I Labirinti di Orfeo per uno spettatore solo
Prendiamo un mito molto conosciuto, antico almeno di duemila e seicento anni come quello di Orfeo, uno spettacolo teatrale pensato e scritto nel 1995 e un visore per la realtà virtuale di ultima generazione che ci aspetta sul palcoscenico di un teatro vuoto. Sono gli ingredienti, apparentemente misteriosi, del progetto “Labirinti 2.0” del Teatro Contatto di Udine che per più di un mese (dal 5 novembre all’8 dicembre 2019) ha fatto registrare il tutto esaurito al Palamostre della città friulana.
Il nucleo generatore del progetto è “Il labirinto di Orfeo”, un’azione teatrale attorno al mito del cantore tracio, prodotta e allestita 25 anni fa da Teatro Contatto da un’idea di Alessio Boni, Pietro Faiella, Luigi Lo Cascio e Sandra Toffolatti ora riproposta in una edizione totalmente rinnovata e di grande impatto emotivo dalla regista Rita Maffei e dalla scenografa Luigina Tusini. Del progetto originario il tempo trascorso non ha sicuramente scalfito lo spirito di innovazione, che mirava a sovvertire tutte le convenzioni della fruizione teatrale e del rapporto tra pubblico e attori.
Nel labirinto, infatti, che riadatta lo spazio a disposizione secondo le esigenze della rappresentazione (quello che viene definito uno spettacolo site-specific), entra un solo spettatore alla volta accolto e “accudito” da ben quindici persone: cinque attori professionisti (Manuel Buttus, Ada Delogu, Natalie Norma Fella, Klaus Martini e Nicoletta Oscuro) e 10 volontari del laboratorio teatrale dello stesso Teatro Contatto. Ciascuno spettatore, una volta chiusasi la porta alle spalle, è chiamato a ripercorrere “in soggettiva” i passi di Orfeo oltre la soglia dell’Ade, a diventare Orfeo; e ciascuno, di questo “viaggio” che stimola e allerta i cinque sensi, alla fine ne avrà una memoria differente. Chi scrive racconta qui di seguito le memorie del proprio viaggio.
Bianco intorno. Silenzio. Un dolce profumo (sarà ambrosia?). Sciabordio di acqua, mani che lavano le mie mani.
Ricordi Orfeo? La tua sposa Euridice che tanto amavi è morta, morsa da un serpente mentre correva nel prato per venire ad abbracciarti.
E io, Orfeo, sono sceso qui nel regno dei morti per convincere con il canto della mia cetra le divinità degli Inferi e riportare indietro con me Euridice alla luce del sole e alla vita.
Ancora sciabordio di acqua, foglie d’autunno nella penombra, chi è che, qui davanti a me, mi avverte che da ora in avanti appariranno solo immagini, …solo ombre? Buio, gli occhi non si abituano all’oscurità, ma qualcuno alle mie spalle conduce con sicurezza i miei piedi scalzi nell’oscurità – sei tu Hermes, accompagnatore di anime? Sei tu che mi conduci dalla mia sposa?
Eccola la mia amata, solo un attimo e svanisce come in sogno, o come qualcosa che è già successo, tanto tempo fa. Ho infranto i patti con divinità infernali e mi sono voltato prima di lasciare alla nostre spalle le valli dell’Averno! E ho perduto Euridice per sempre. Per sempre?
Nella luce fioca, mi prende per mano una nuova guida che ad una a una mi passa in rassegna le divinità Ctonie dai nomi spaventosi.
Siedi e aspetta. Dove sono? Dove vado? Quali sentieri attraverso adesso, bendato, scalzo, condotto con dolcezza da amorevoli braccia che mi sostengono? Odore di lavanda. Adàgiati supino su questa pietra mentre la terra piano piano ricopre le tue mani, le tue braccia, le tue spalle...dormi per sempre. Non sei qui per portare via con te Euridice ma per rimanere qui con lei.
Eccoti, mia sposa, ti vedo nel riflesso di uno specchio che pettini i tuoi lunghi capelli neri e che mesci nei nostri calici vino rosso come il sangue. Sei un sogno, un ricordo o sei qui davanti a me?
Adesso lo so. Il viaggio è iniziato quando tutto è finito, ma io, Orfeo sbranato e smembrato dalle Menadi furiose, so anche che ora canterò con la mia cetra nei Campi Elisi e che, finché memoria di uomo resterà, verrà ricordato il mio nome.
Il bel testo, sussurrato dagli attori lungo il precorso che giocoforza un po’ si smarrisce nel ricordo dello spettatore-Orfeo tra profumi, sensazioni, mani che sfiorano mani, passi incerti, e il sapore del vino, riprende e rielabora il mito di Orfeo attingendo sia alle narrazioni classiche di Virgilio e Ovidio sia a quelle contemporanee di Rilke e Pavese. Lo stesso testo – ma non è facile accorgersene! - è stato riproposto per il nuovo “Labirinto di Orfeo” realizzato in realtà virtuale dal team Virtew di Udine sempre per un solo spettatore, che come il precedente, scardina ulteriormente il dogma della frontalità dell’esperienza teatrale classica. Indossato il visore VR inizia, di nuovo, il “viaggio” di Orfeo.
La sfida delle nuove tecnologie e dei giovanissimi videoartisti che hanno creato gli scenari visivi virtuali al mito millenario della catabasi di Orfeo è affascinante e ricca di sorprese. Lontano da qualsiasi intento di ricostruzione filologica degli ambienti, il viaggio virtuale inizia al centro di un labirinto di colonne a perdita d’occhio, in alto, alzando lo sguardo al cielo stellato, ci guida la costellazione della Lira. Attraversato il nero lago d’Averno in una alba rosso fuoco, si inizia a precipitare verso il basso, giù, sempre più giù in una caduta verso gli abissi dell’Ade. Cerbero e le divinità del regno dei morti ci lasciano passare, fino a ritrovarci su una scalinata di pietra sbrecciata sulla quale Hermes ci invita a proseguire il cammino senza voltarci perché Euridice dietro di noi ci segue, più lentamente, ma ci segue. Sappiamo bene, proprio come Orfeo, di non doverci voltare eppure ancora di nuovo, come da mille e mille anni e per i prossimi mille anni nelle infinite rielaborazioni del mito, ci voltiamo! Vediamo l’amata sposa sgretolarsi in infiniti minuscoli pixel e svanire, ma non per sempre. La ritroveremo, anche qui, come nel primo labirinto. Eccola, è lì che ci aspetta, che aspetta il suo Orfeo, sotto una roccia in cima alla quale fiorisce un pesco, al centro di una pianura luminosa circondata da dolci colline, con il grano alto che attende la mietitura e gli insetti che ci ronzano nelle orecchie. È quasi estate!