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Urlo. Un biopic poetico sulla nascita della beat generation
Urlo (Howl, 2010) è un film dedicato alla biografia di Allen Ginsberg (1926-1997), uno dei più celebri esponenti della beat generation, autore di un notissimo poema che dà il titolo all’opera cinematografica. La pellicola oscilla tra biopic e film-documentario, proponendosi in modo alquanto originale, con ambizioni notevoli anche dal punto di vista delle competizioni e dei concorsi a cui ha partecipato: dal Sundance Film Festival alla 60° edizione del Festival del cinema di Berlino, dove gareggiava per l'Orso d'oro.
I due registi, Rob Epstein e Jeffrey Friedman, hanno sapientemente assemblato filmati degli anni ‘50 e scene di repertorio con il film vero e proprio, nel quale Ginsberg è interpretato molto efficacemente da James Franco.
Lo spettatore è così immerso in una triplice dimensione a cui corrispondono altrettante tecniche cinematografiche: la vita di Ginsberg, scandita soprattutto da immagini in bianco e nero, il processo a cui il poeta venne sottoposto nel 1957 per oscenità, raccontato attraverso immagini a colori, la trasposizione interpretativa dei suoi versi, per cui i registi hanno usato raffinate tecniche di animazione digitale.
Il poema L’urlo, solo apparentemente derivante dalla spontaneità creativa dell’autore e da apporti popolari, in realtà si nutre di gran parte della tradizione poetica americana e anglosassone, con vari riferimenti anche alla grande poesia europea e classica in generale. L’autore di riferimento è Walt Whitman, ma non mancano allusioni più o meno implicite ad Thomas S. Eliot e ad Ezra Pound.
Ginsberg dà vita a una protesta vibrata contro gli pseudo-valori della società consumistica statunitense (su cui contemporaneamente i filosofi della Scuola di Francoforte stavano elaborando le loro analisi): le “migliori menti” della sua generazione, distrutte dalla follia, sono costrette a trascinarsi in quartieri malfamati o a sedersi in un’oscurità soprannaturale, fumando con occhi vuoti (hollow-eyed, come gli hollow men di Eliot), avvolti in povertà e stracci:
I saw the best minds of my generation destroyed by
madness, starving hysterical naked,
dragging themselves through the negro streets at dawn
looking for an angry fix
Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte
distrutte dalla pazzia, che morivano di fame, nude e in preda all'isteria,
mentre si trascinavano per le per strade dei ghetti neri all'alba,
alla ricerca rabbiosa di una dose
(traduzione mia)
La società americana sta trasformando negativamente la natura umana, condannando le persone a un’esistenza squallida e corrotta. È una sorta di Moloch, dice Ginsberg nella seconda parte del poema, che diventa inesorabilmente una sorta di prigione incomprensibile e senz'anima i cui edifici sono sentenze e che somiglia a un Congresso di dolori, a un gigantesco organismo con una mente ridotta a un puro meccanismo e nelle cui vene e arterie non scorre sangue, bensì denaro, e la cui anima è costituita da elettricità e banche (con immagini che ricordano le invettive di Pound contro l’usura).
Il film focalizza anche alcuni particolari biografici dell’esistenza di Ginsberg con elegante discrezione, ma senza infingimenti: la sua omosessualità (o meglio, bisessualità) non è taciuta, ma viene rappresentata senza toni crudi e scene eccessivamente esplicite, nell’intreccio di scelte di vita radicali. Del resto, Ginsberg scrisse il poema a 30 anni, dopo aver deciso, a 27 anni, nel 1953, di abbandonare la famiglia e gli amici per intraprendere un viaggio verso l’ovest, quasi da viandante romantico post litteram: un viaggio nello stile che poi verrà immortalato dal suo amico Jack Kerouac nel romanzo The Road e dalle canzoni dei suoi quasi-discepoli Bob Dylan e Bruce Springsteen.
Per Ginsberg questo viaggio era una sorta di atto simbolico, come scrisse: “Partire per la California equivaleva a una sorta di grande profezia. Come se avessi superato una stagione della mia vita e fosse tempo di ripartire da capo completamente”. Per lui spezzare i legami familiari voleva dire liberarsi dalle pressioni esercitate dalla malattia psicotica della madre e dalla relazione edipica con il padre. Liberazione che avvenne in modo pressoché definitiva a San Francisco, dopo una terapia psicoanalitica che lo portò a quel Great Breakthrough che per lui simbolizzò una nuova vita, libera dalle convenzioni sociali che fino a quel momento lo avevano oppresso, in modo da poter finalmente aprirsi a quell’empito creativo che favorì la sua produzione poetica.