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Verona Teatro Romano. Giulio Cesare nel melting-pot diacronico di Rigola
Mercoledì 6 luglio si è inaugurata al Teatro Romano di Verona la sessantottesima edizione dell’Estate Teatrale Veronese, la manifestazione sostenuta e promossa dal Comune di Verona che, dopo il Festival lirico areniano rappresenta il secondo degli eventi di maggior spicco e prestigio di tutto il periodo estivo della città di Verona. Quest’anno, in occasione del quattrocentesimo anniversario dalla morte di William Shakespeare, il cartellone del Teatro Romano presenta tre opere del grande drammaturgo britannico.
Si inizia con la tragedia Giulio Cesare, scritta probabilmente nel 1599, e prodotta in prima nazionale dal Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, in collaborazione con l’Estate Teatrale Veronese con la regia dello spagnolo Alex Rìgola, direttore della Biennale Teatro di Venezia.
Prima dell’inizio dello spettacolo, Flavio Tosi, sindaco del Comune di Verona, ha consegnato il Premio “Renato Simoni” all’attore Toni Servillo, per i meriti artistici conseguiti nel corso della sua carriera.
Lavoro complesso, quello del Giulio Cesare. Alex Rìgola non si è fatto mancare nulla. Si inizia con una proiezione di un’immagine in cui compare il presidente Barak Obama e alcuni suoi consiglieri, mentre stano guardando un video sulla morte di Bin Laden. Rìgola ha mescolato, passato, presente e futuro, utilizzando animazioni multi mediali e costumi ambivalenti, in cui i personaggi del dramma camminano con zampe da orchi, mentre il viso è coperto da maschere disneyane.
Bruto sostiene che bisogna uccidere Cesare per il “bene” di Roma. Quando la moglie Porzia lo supplica di desistere dal suo folle gesto, lui è come pervaso da una mission ineluttabile: “Io sono amico di Cesare, ma più di Cesare io amo Roma”.
Emanuel Mounier, scrittore e filosofo francese alla fine degli anni ’50 aveva introdotto il concetto di “violenza umanizzante”. Secondo questa teoria è lecito far “violenza” di fronte ad una situazione di pericolo o di opportunità. La mamma fa violenza sul bambino che non si vuol curare, il passante che trattiene con la forza un potenziale suicida.
Ebbene, in quest’opera di Shakepseare, Bruto è convinto di compiere un gesto di “amore” uccidendo Cesare e salvando Roma da una possibile tirannide, senza sapere, con una visione strategicamente e politicamente miope, che di lì a poco Ottaviano Augusto sarebbe divenuto il primo imperatore di Roma.
Uno spettacolo molto intenso, con interventi multimediali suggestivi, su cui domina la figura di Cesare, interpretata magistralmente da Maria Grazia Mandruzzato – la prima donna ad interpretare questo ruolo ma, secondo Rìgola, ormai le donne hanno conquistato numerosi spazi di potere e quindi anche Cesare può essere rappresentato da una donna. Con una certa somiglianza fisica all’attrice greca Melina Mercouri, la Mandruzzato s’impossessa del personaggio di Cesare e, aiutata dal costume volutamente ambiguo, ricorda in certi momenti la figura di Marlen Dietrich.
La sua presenza fisica sulla scena è necessariamente limitata, ma l’impatto che essa esercita ha una lunga ricaduta sulla mente dello spettatore. Una grande prova di talento teatrale e scenico.
Il resto del cast, costituito da un gruppo di giovani attori, affiatati e ben coordinati, tra cui spicca la figura di Marco Antonio, interpretata da Michel Riondino, danno vita ad un recitazione puntuale e convincente, anche se piuttosto accademica e scarsamente interpretativa. Da ricordare il discorso di Antonio al pubblico del Teatro Romano, in cui sembra di essere veramente nella Roma di un tempo, dove il popolo assisteva e acclamava le parole dei suoi tribuni.
Il testo, anche se alleggerito nella traduzione di Sergio Perosa, rimane pur sempre un testo shakespeariano, a tratti ridondante e barocco. Pubblico della grandi occasioni con teatro gremito. Applausi convinti alla fine. Un lavoro da ricordare. Gli altri due lavori in programma sono: “Come vi piace” (12-13-14 luglio) e “Giulietta e Romeo” (dal 19 al 23 luglio).