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Villa Adriana apre con Le Cirque invisible. Pillole rosse ed un coniglio bianco
Un profluvio di magie ha inaugurato il Festival di Villa Adriana a Tivoli per la Fondazione Musica per Roma: Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thiérrée con Le Cirque invisible hanno irrorato di prestidigitazioni e cavalli fatti di pelli e tessuti dal 16 al 19 giugno 2011, ritornando in quella Roma (o poco fuori) di cui si sentono parte integrante, dove Aurélia, la loro figlia anche lei teatrante e qui a Villa Adriana lo scorso anno con il suo Oratorio e la regia della madre Victoria, nipote del celebre Charlie, star del cinema muto anni ‘20 e ’30.
Conosciutisi nel 1969 a Parigi, Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thierrée hanno comiciato a creare spettacoli insieme per un circo che potesse adattarsi alla loro immaginazione, coinvolgendo anche i due figli, Aurélia e James, i quali conducono altre compagnie di circo e danza in un coacervo colorato di sogni pirotecnici ed acrobatici, dove gli effetti speciali sono in accrescimento continuo, conservando eppure una certa “naturalità” che li rende spontaneamente poetici.
Le Cirque invisible è il loro terzo spettacolo, creato nel 1990, precedenti furono solo due – sembra dovuto alle manie di perfezione di Jean-Baptiste (!) - Le cirque bonjour, e poi Le cirque imaginaire, che diede adito anche ad una serie tv nel 1989.
Se volessimo parlare dell’”invisibilità” attraverso lo spettacolo di questo circo potremmo definirla invenzione: di mezzi, di luoghi, di animali usciti non solo dal cilindro, da cavalli di pezza ravvivati dai tessuti indossati da Victoria Chaplin, dai mille tintinnii dei suoi camouflages risonanti, dalle ironiche parodie di Jean-Baptiste e dal suo innumerevole bagaglio di vestiario kitsch&chic, vivacizzato da tocchi robotici e dalle immancabili biciclette, tradotte in danze macabre su due ruote.
Un immaginario ironico, extra, rievocante il medioevo come gli anni della Piaf, con lui che fa il ventriloquo, lui, con questo fisico alla Benny Hill ma solo qualche tocco di boccaccesca farsa; mentre lei è fugace, come una nuvola si arrampica sulla corda e la “nuota” come un pesce, con delle storie tutte slacciate tra loro, una donna in solitudine al bar che trasforma il tavolino con la seggiola in carretto; il grande mostro creato con il suo lungo vestito che lascia spazio alle marionette, il tutto sembra contornato da musiche minimaliste à la Nyman e Glass di cui però non si conoscono autori e provenienza.
Tutte queste invenzioni onirico-visionarie meritano un film, una narrazione senza soluzione di continuità, una colonna sonora continua che irrori ancora di più l’intero corpus creativo di questi fauni della realtà, artisti che tra l’orologio ed il paravento nascondono doni molto visibili, la cui caratura ha mille sfaccettature e che le luci giallognole, l’Hermes ed il Canopo di Villa Adriana illuminano con le stesse luci di Alice, che fanno brillare quel coniglio bianco (White Rabbit, di Lewis Carroll come dei Jefferson Airplane) comparso sulla scena ad informarci che esistono ancora pillole rosse, da prendere senza controindicazioni di sorta, piuttosto viaggi in quel che vi è di più vero nel mondo.