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Vita di Pi di Ang Lee. L'atto di fede di Pi
Alla base delle più importanti religioni del mondo ci sono delle storie. Aderire ad una religione piuttosto che ad un'altra quasi mai dipende dal grado di moralità che i suoi precetti raggiungono o da quanto essi rispecchino i nostri ideali. Ma da quanto si è disposti a credere nella veridicità di quelle storie. Per fare questo, occorre spingersi oltre la soglia della ragione, compiendo un semplice quanto incommensurabile atto di fede.
La storia che Pi Patel (Irrfan Khan) racconta al suo ospite, lo scrittore (e autore del romanzo omonimo) Yann Martel (Rafe Spall), ha dell'incredibile. Parla di lui da bambino, cresciuto in uno zoo nell'India francese, fra suggestioni induiste, cattoliche e musulmane, stemperate dalla lucida razionalità impartitagli dal padre. Il nome stesso, Pi, abbreviazione di Piscine Molitor, la vasca comunale parigina tanto amata dallo zio nuotatore, rimanda ad un simbolo matematico (il π), dunque per sua natura frutto della logica, che tenta di contenere una sequenza di cifre infinita, dunque che va al di là della logica.
Un giorno, all'età di circa diciotto anni, la vita di Pi viene sconvolta da un tragico evento: durante la traversata del Pacifico insieme alla famiglia, a bordo di una nave merci diretta in America che trasporta tutte le bestie dello zoo, una tempesta fa affondare la nave, causando la morte di tutti i passeggeri e trasformando Pi in un naufrago. Insieme a lui, sulla scialuppa di salvataggio, si agitano alcuni animali sopravvissuti al disastro e di cui ben presto ne rimane soltanto uno: Richard Parker, la tigre.
Scampato alla tempesta, la vita di Pi è al contempo sopravvivenza dalla tigre e con la tigre, fino a diventare una sorta di guardinga convivenza nella sconfinata piscina oceanica, raggiungendo, senza mai oltrepassarle, le soglie dell'amicizia.
Aiutato dalla computer graphics, Ang Lee trasfonde un complesso sottotesto mistico e esistenzialista attraverso un visionario affresco a tinte pastello, sempre in bilico tra naturalismo e surrealismo, volutamente aperto al pubblico infantile.
Il cuore della vicenda non risiede tanto nella lotta con la tigre, ma nell'accettazione della parte animale di sé che essa simboleggia. In questo senso il gesto del salvataggio di Richard Parker si connota di quella sacra follia che lo rende al contempo gesto umano e divino, atto di pietà ma anche, soprattutto, di fede. Tuttavia, nel tratteggiare le schermaglie fra Pi e la tigre, Ang Lee commette l'errore di non concretizzare mai un senso di reale pericolo, facendo abbassare inevitabilmente la curva del climax del cambiamento di Pi e del suo rapporto con l'animale. In senso più generale, soprattutto nelle scene in mare, la pellicola soffre qua e là di un surplus di buonismo, giustificato in parte dal vasto target di pubblico, ma deletereo per l'incisività di un'opera che stupisce ma non travolge quanto avrebbe potuto.