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La vita facile. Le molteplici forme dell'esistenza
Le prime immagini di questo film mostrano, già in pochi minuti, due realtà e stili di vita completamente diversi, fotografati nello scorrere delle prime ore del giorno. Traffico cittadino, parcheggiatore personale e ufficio dotato di ogni comfort sono all'ordine del giorno per Mario (Pierfrancesco Favino), chirurgo in una clinica privata di Roma; mentre Luca (Stefano Accorsi), medico volontario in Kenya che dirige con pochi altri infermieri un piccolo ospedale, deve far fronte a continue emergenze, nonostante la scarsezza di fondi e di strumentazioni adeguate.
Il regista è Lucio Pellegrini, che già si era occupato della serie televisiva “I liceali” e di altri produzioni come “Figli delle stelle”, con questo lungometraggio dal titolo significativo intende incentrare l'attenzione sulla realtà odierna, non solo quella caratterizzante città e condizioni di vita che ci riguardano, ma anche di paesi molto più lontani, che proprio per questo richiedono da noi un impegno consapevole.
I percorsi dei due amici sono destinati ad incrociarsi, infatti, il primo raggiunge Luca nel villaggio africano in cui si trova da anni. Una decisione apparentemente impossibile a credersi, dato il carattere e la mancanza di predisposizione di Mario, che viene poi raggiunto, alcuni giorni più tardi, dalla moglie Ginevra (Vittoria Puccini), una donna determinata ma anche fragile perché troppo legata a quella “vita facile”, fatta di agi e comodità, che conduceva con il marito a Roma.
Il suo arrivo determinerà un'inversione di tendenza nell'andamento della vicenda, tanto da risvegliare passioni latenti, disvelare situazioni e segreti che gettano una nuova luce sugli eventi narrati fino a quel momento, così come sui personaggi stessi che, come spesso accade anche nella vita reale, e secondo la concezione pirandelliana dell'identità, indossano diverse maschere (termine che, non a caso, risale al latino “persona”, con cui tra i Latini veniva indicata la maschera di legno portata dagli attori nelle rappresentazioni teatrali) a seconda delle situazioni.
Sono però molti altri gli spunti di riflessione che offre tale film, infatti fin da subito appare visibile il grande divario tra la realtà, troppo spesso dimenticata, dei paesi del Terzo Mondo, fatta di povertà e disagi di ogni tipo e quella dei paesi più sviluppati, in cui la tecnologia e i comfort sono ormai dati per scontati.
Il regista, oltre a ciò, inoltrandosi nei villaggi africani, lascia che lo spettatore percepisca con naturalezza un modo di condurre la vita e di dare ad essa un valore che li differenzia così tanto dal nostro: nonostante le continue difficoltà quotidiane nella semplice alimentazione e nel mantenimento di un normale stato di salute, lo spirito comunitario è molto forte, i legami sociali saldi e il rispetto delle tradizioni elevato.
Ancora, le numerose inquadrature di luoghi bellissimi e incontaminati, come radure sterminate popolate da animali in libertà, torrenti dal corso silenzioso e rilassante fanno pensare alla scarsezza di posti come questi nelle città e nei centri più industrializzati, coinvolti in un continuo andare giornaliero, in cui sempre più difficilmente è possibile fermarsi qualche minuto semplicemente per riflettere.
Insomma, a mio parere, “La vita facile” è un film in cui lo spettatore attento può trovare molto più di quello che viene semplicemente anticipato nella locandina, ovvero una vicenda il cui perno consiste in una storia d'amore complicata dalla presenza di un terzo soggetto. Nonostante essa occupi però una buona parte del lungometraggio, quest'ultimo, tra inversioni di rotta inaspettati (in modo particolare nell'epilogo), fa riflettere soprattutto sulle diversità con cui gli individui stabiliscono certe priorità piuttosto che altre, dando forma all'esistenza con il valore delle proprie scelte.