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Viva la libertà. La folle leggerezza che smaschera la politica
Il film Viva la libertà con la sceneggiatura, scritta da Roberto Andò e Angelo Pasquini, tratta dal romanzo Il trono vuoto dello stesso regista, si articola attorno alla crisi interiore del segretario del principale partito d'opposizione italiano. In calo di consensi e (auto)stima, Enrico Olivieri (Toni Servillo), fugge di nascosto a Parigi in piena campagna elettorale. Il suo assistente/eminenza grigia Andrea Bottini (Valerio Mastandrea), per ovviare alla catastrofe imminente, in combutta con la moglie di Olivieri, Anna (Michela Cescon), ricorre all'unica soluzione in grado di salvare la situazione: sostituire Enrico con Giovanni Ernani (sempre Servillo), suo fratello gemello.
Genio, filosofo, in cura per disturbi mentali, Giovanni è in grado di imitare perfettamente il fratello, non tanto negli atteggiamenti esteriori, istituzionali, quanto piuttosto in quella che è (o sarebbe) la sua autentica personalità. Ed ecco che mentre Enrico, con l'aiuto di Danielle (Valeria Bruni Tedeschi), una sua vecchia compagna ormai risposata, va alla ricerca di se stesso, Giovanni trasforma la saggia incoscienza della propria follia nello strumento che risolleva, in modi del tutto improbabili, le sorti del partito.
I meccanismi odierni della politica, farragginosi, bipolari, non più funzionali ma finzionali nella loro reciproca compenetrazione con la realtà, creano una distanza fra chi rappresenta e chi dovrebbe essere rappresentato, ma anche fra le istituzioni stesse e la coscienza personale di chi le governa. Con un tocco di saggia follia e attingendo alla figura letteraria del doppio (da Anfitrione di Plauto, a I due gemelli veneziani di Goldoni, passando per La commedia degli errori di Shakespeare), Viva la libertà di Roberto Andò traccia una linea, di pensiero prima ancora che d'azione, su quello che è il terreno in cui “la diritta via” della politica è stata drammaticamente smarrita. E lo fa rivolgendosi, con sapiente leggerezza e cauta speranza, alle coscienze delle persone, eletti o elettori che siano, indicando loro un ritorno alla cultura come serbatoio di libertà e autodeterminazione.
La forza del decimo film di Andò sta nella leggerezza con cui viene declinato il tema della politica. Dopo una partenza tesa e drammatica, la narrazione, con l'entrata in scena di Ernani, biforca il racconto in segmenti paralleli e contrapposti per tono e ritmo: denso e compassato quello “privato” di Enrico, divertito e salace quello “politico” di Giovanni, invertendo nella forma la pesantezza della sostanza. Il culmine è nella scena del comizio in piazza San Giovanni, in cui Ernani, da solo sul palcoscenico elettorale, infiamma e infonde passione nuova “a chi esita”, recitando, senza citarli, i versi dell'omonima poesia di Bertolt Brecht.
Uno degli scopi del film in comune con il romanzo, come affermato da Servillo e dallo stesso regista in conferenza stampa, non era quello di fare un ritratto della situazione politica contingente, ma di riportare al centro del palcoscenico culturale e istituzionale argomenti comuni ormai esautorati dal caos mediatico odierno. Quando a Olivieri/Ernani viene chiesto da un giornalista quale alleanza prospetti per il suo partito, lui risponde “l'unica possibile: quella con la coscienza della gente”.
Apparentemente si corre il rischio di scivolare nell'utopia, o, viceversa, nel pessimismo assoluto. Ma in realtà il film ha il grosso merito di aleggiare sopra questi due pericoli, ricavando forza dalla leggerezza con cui plasma e gioca con una materia seria e gravosa, grazie anche a un cast eccellente in cui spicca un Servillo straordinario, dal volto profondo e “ipotetico”, come afferma lo stesso Andò, in grado cioè di proiettare sullo schermo anche quello che non c'è.