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Warhol. La New York Factory a Roma
Un artista come Warhol a Roma non porta solo le sue opere, bensì quello che a Roma non appartiene affatto, essendo eternamente percorsa da tutti i tempi della storia: lo Zeitgeist di Warhol invece è ben situato in un'epoca che rappresenta tanto bene New York da identificarvisi, insieme alla società americana, pienamente corrisposta dalle pubblicità della famosa lattina che Warhol glorificò. A Palazzo Cipolla, grazie alla Fondazione Roma Museo, una collezione di circa 150 pezzi, fino al 28 settembre 2014, curata da uno dei primi e sicuramente il più consistente, collezionista di Warhol, Peter Brant. Una chicca poi nella sala centrale degli specchi: le fotografie di Terry O'Neill, le Pop Icons che vanno da Mick Jagger e Boris Becker, passando naturalmente per Andry Warhol, en travesti.
Lo stivaletto, o meglio, La scarpa (blu e verde con angioletto biondo) del 1956, in realtà una forma di legno per una polacchina tutta colorata con biondine ritratte sul davanti, ci accoglie come per farci incamminare su un tappeto ludibrioso insieme al ritratto di Liz Taylor, e a tante farfalle dorate, gatti, l'Attacca la coda all'asino (1954-55) con una bella coda tra viola e blu di natrini colorati, ed una Natività del 1959, tutta rossa fumetto. Non c'è che dire, ci hanno bene accolti: e la cassetta di legno con le bottiglie di Coca Cola in argento (dipinte) del 1967 dà inizio alla stagione più feconda e facoltosa di Warhol, già allora quotatissimo sul mercato americano. Ma prima ci furono le Campbell's: le scatole di zuppa condensata tipicamente americane (da noi non se ne venderebbe nemmeno una!) sono del 1961, e furono una delle prime opere di Warhol che ritrassero le icone della middle class americana, conosciute da tutti, comprate da moltissimi. Dell'anno seguente sono le Monete da un dollaro (192 One dollar bills, 1961), e cominciamo ad andare in profondità, con quei simboli controversi che sono il denaro e la morte: le Dodici sedie elettriche sono del 1964 ed i ritratti dei Supericercati pure, senza dire che nello stesso anno, una certa Dorothy Podber colpi ben quattro dei ritratti di Marilyn con un colpo di pistola, ben visibile in quello posseduto da Brant, che, su suggerimento di Warhol, non lo fece restaurare. Il quadro in esposizione è Marilyn Liquorice, uno di quelli restaurati.
L'anno prolifico 1964 fece produrre a Warhol anche un monotipo su carta intitolato The Kiss, che mostra un Bela Lugosi vampiro che sta per baciare (e mordere quindi) la sua vittima; l'anno prima, il coreografo Merce Cunningham era stato ritratto anche lui con inchiostro serigrafico e con una maschera bianca da pantomima mentre ballava, in una “serie” di movimenti successivi. Nel Doppio disastro verde, ancora del '63, sembra pronosticare la sua morte, avvenuta in un insulso, quanto spaventoso, incidente stradale. Nel 1966 Valerie Solanas sparerà a Warhol e lui resterà in coma, uscendo poi dall'ospedale dopo un mese e mezzo: susseguenti sono tutta la serie degli Skull del '76, mentre poco prima aveva cominciato - e terminato - la serie dei Mao, il ritratto del dittatore comunista cinese, anche lui un'icona, del versante politico.
Lo Jean-Michel Baquiat del 1982 in mostra, è sicuramente uno dei suoi quadri sentimentali, al contrario dell'Ultima Cena, in bianco e nero, e molto ironico: il Particolare dell'ultima cena a luci al neon del 1986, ritrae in particolare Gesù, illuminato falsamente, come vogliono quelle rappresentazioni pubblicitarie che di lui hanno fatto un mito, oltre il tempo, oltre il luogo.