Warm Bodies libro e film. C'erano una volta gli zombie...

Articolo di: 
Stefano Coccia
Warm Bodies

Non ci sorprende affatto che sulla copertina di Warm Bodies  campeggi, proprio sopra il titolo, la lusinghiera valutazione di Stephenie Meyer: “Non avrei mai potuto immaginare di potermi affezionare tanto a uno zombie”. Neanche noi, verrebbe istintivamente da replicare. Ed è proprio questo il dramma! La popolarissima creatrice della saga di Twilight e il suo epigono Isaac Marion, autore di Warm Bodies, sono corresponsabili sul versante letterario di una delle tendenze più pericolose, in atto nel cinema americano mainstream. A tale moda, che miete vittime soprattutto tra gli adolescenti, si può imputare una colpa non da poco, quantomeno per gli amanti del genere: aver trasformato prima i vampiri e ora gli zombie, archetipi fondamentali del cinema horror, in insipide macchiette più inclini a comportarsi da rubacuori, che a flirtare con l’oscurità.   

Meno sangue, più melassa. Meno eros tenebroso, più svolazzi sentimentali stile “Baci Perugina”. Meno paura, più turbamenti adolescenziali a buon mercato. Meno deformità che generano imbarazzo, repulsione e panico, più adattamento ai gusti del teenager medio americano. Meno horror, per farla breve, più commedia romantica, ma di quelle che restano in superficie. Questa, volendo sintetizzare al massimo, è la ricetta che accomuna un prodotto cinematografico/letterario come Warm Bodies al fortunatissimo ciclo di Twilight. Non sappiamo se la vicenda dello zombie tenero e sdolcinato avrà lo stesso successo, sul grande schermo, dei vampiri patinati della Meyer, ma in entrambi i casi l’impatto sulle dinamiche del genere non ci pare tra i più proficui, volendo usare un eufemismo. Tutto sommato il Warm Bodies cinematografico non dovrebbe essere destinato a diventare un fenomeno della stessa portata: un po’ perché la storia è breve e non offre appigli tali da far presagire chissà quali espansioni, un po’ perché la regia di Jonathan Levine è deboluccia di suo. Ma questo processo di corruzione dell’immaginario orrorifico prosegue comunque imperterrito, avvicinando tali prodotti più a “teen movies” shakerati male, che ad autentiche riflessioni cinematografiche sulla paura, sul pericolo, sui mali che si annidano nel nostro assetto sociale.

Nel film interpretato da Nicholas Hoult, divo anglosassone in costante ascesa, questo giovane attore più aitante che realmente espressivo impersona R, uno zombie disposto ad abbandonare la propria dieta carnivora pur di conquistare Julie (Teresa Palmer), l’umana da lui risparmiata e persino aiutata a tornare nella comunità di appartenenza: uno stadio dove alcuni dei vivi si sono asserragliati per difendersi dal continuo proliferare di morti viventi. Il buon R vive in un aeroporto abbandonato insieme ai propri simili e agli Ossuti, zombie che hanno perso anche l’ultima parvenza di umanità. Ecco, se nei primi 10 minuti del film la descrizione di questa società caricaturale, nata dall’apocalisse zombie, strappa qualche sorriso, il prosieguo del racconto è tutto un rincorrersi di soluzioni narrative improbabili, noia e gags tutt’altro che memorabili, con le poche sequenze d’azione girate in modo piuttosto convenzionale e un mood generale degno del più anonimo romanzetto Harmony. Fino a suggerire l’ipotesi, quanto mai bislacca, che per guarire dalla misteriosa epidemia in grado di trasformare un essere umano in zombie siano sufficienti un po’ di buoni sentimenti. Quale offesa, per le insensibili e feroci creature già celebrate sul grande schermo dai capolavori di George A. Romero!

Il lungometraggio diretto da Jonathan Levine riesce poi nell’impresa, a suo modo notevole, di banalizzare ulteriormente quanto prodotto dalla penna modesta di Isaac Marion. Laddove nel romanzo un velo di mistero e di inquietudine circondava le apparizioni degli Ossuti, nonché il loro modo di agire, questi altri nel film non sono altro che odiosi mostriciattoli usciti male dalla computer grafica. Si potrebbero fare altri esempi, in tal senso. Ma ci viene spontaneo chiudere il discorso con un pizzico di ironia.

Nel libro la sognatrice Julie, in un momento di malinconia, afferma: “Mi mancano gli aeroplani in sé. Il rombo attutito in lontananza, le strisce bianche… il modo in cui tagliavano il cielo e scarabocchiavano l’azzurro. Mia mamma diceva sempre che sembrava la lavagnetta magica. Era così bello”. Già, perché coi pochi superstiti rintanati in fortini e altri rifugi gli aerei non volano più. Ecco, a questo punto la domanda sorge spontanea: dato un quadro del genere, Jonathan Levine poteva evitare di inquadrare più di una volta ampie porzioni di cielo con le classiche traiettorie bianche, tracciate evidentemente da qualche velivolo, neanche fosse un complottista fissato con le scie chimiche? Possono sembrare particolari irrilevanti. Ma a volte il diavolo, come suggerisce il proverbio, si nasconde proprio nei dettagli. E di tutto il resto abbiamo già argomentato, pertanto il nostro auspicio è questo: che i morti viventi tornino a fare i morti viventi, o se proprio si vuole innovare il filone lo si faccia con idee un po’ più solide, originali ma anche coerenti, rispettando così l’identità dei nostri amatissimi zombie!

Pubblicato in: 
GN13 Anno V 5 febbraio 2013
Scheda
Titolo completo: 

Libro: Isaac Marion, Warm Bodiescollana lain, editore Fazi, pp. 280, € 14.50

Warm Bodies
GENERE: Drammatico, Horror, Sentimentale
REGIA: Jonathan Levine
SCENEGGIATURA: Jonathan Levine
ATTORI:  Nicholas Hoult, Teresa Palmer, John Malkovich, Dave Franco, Analeigh Tipton, Rob Corddry, Cory Hardrict

Uscita al cinema 7 febbraio 2013

FOTOGRAFIA: Javier Aguirresarobe
PRODUZIONE: Make Movies, Mandeville Films, Summit Entertainment
DISTRIBUZIONE: Lucky Red
PAESE: USA 2013
FORMATO: Colore