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Wenders e Salgado. La disperata fede nell'umanità
Il sale della terra, dal 23 ottobre 2014 nei cinema italiani, si presenta come un'originale mediazione tra biopic e docufilm, ispirata al lavoro fotografico di Sebastião Salgado, in cui il regista tedesco Wim Wenders ripercorre le tappe di una carriera ascendente, che vede Salgado da ormai oltre quarant’anni inoltrarsi nelle terre più desolate, le Wastelands dei cinque continenti, usando la macchina fotografica per documentare gli aspetti più drammatici di un’umanità che si presenta volta per volta come vittima o come protagonista di cambiamenti radicali, proiettata in un pianeta che invece spesso si oppone a tali cambiamenti.
Per questo film, vincitore del Premio Speciale Un Certain Regard al Festival di Cannes e del Premio del Pubblico al Festival di San Sebastian, Wenders si è avvalso come collaboratore del figlio di Salgado, Juliano Ribeiro, che ha accompagnato il padre nei suoi ultimi viaggi, testimoniando alcuni aspetti sconvolgenti e devastanti della nostra contemporaneità, di cui noi occidentali che viviamo da ormai quasi 70 anni senza conflitti bellici all’interno dei paesi industrializzati quasi neppure abbiamo il sentore: dai conflitti internazionali alle più spaventose carestie, dalle migrazioni di massa alle faide tribali ed interetniche; controcanto di questa umanità desolata sono poi le inquadrature di vertiginosi paesaggi, di territori inesplorati punteggiati da una flora lussureggiante e da una fauna ancora multiforme, nell’ambito di un progetto fotografico denominato Genesi, che è insieme un omaggio alle bellezze del pianeta terra e una testimonianza dell’impegno dei Salgado, padre e figlio, a favore dell’ecologia, come lo stesso Wenders ha tenuto a sottolineare, aggiungendo: “Salgado non ha soltanto consacrato Genesis, la sua ultima monumentale opera, alla natura, ma è proprio la natura ad avergli permesso di non perdere la sua fede nell’uomo”.
Lo stesso titolo, Il sale della terra (in originale inglese The Salt of the Earth), allude a un celebre versetto del Vangelo di Matteo, ossia a una metafora del Sermone della Montagna (Matteo, 5:13), in cui Gesù Cristo sta cercando di incoraggiare la gente a dare il meglio di sé stessa: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini”.
Uomini che però sembrano fare di tutto per far perdere la fiducia in un migliore avvenire dell’umanità. Non casuale, per il Wenders profondo conoscitore della musica rock, è anche un’implicita allusione a una celebre canzone dei Rolling Stones (“Salt of the Earth”, dall’album Beggars Banquet, del 1968) in cui Jagger & Richards in modo pessimista e un po’ cinico sottolineano come i lavoratori non abbiano alcun potere, né mai lo avranno: “And when I search a faceless crowd/A swirling mass of gray and black and white / They don't look real to me / In fact, they look so strange” (E quando contemplo una folla senza volto / Una massa turbinante di grigio, bianco e nero/Non mi sembrano reali,/In realtà, hanno l’aria così strana).
Per la soundtrack del film, il regista tedesco si è comunque affidato al compositore francese Laurent Petitgand, che già aveva avuto una parte da attore ne Il cielo sopra Berlino e che cesella mirabilmente il commento sonoro e musicale alle fotografie di Salgado.
Particolarmente inquietanti sono le immagini dei morti per denutrizione in Mali, nel deserto del Sahel (death by starvation), dei massacri in Ruanda di Hutu e Tutsi, delle scene di pulizia etnica (ethnical cleansing) in Bosnia, con un’accorta alternanza del colore e del bianco e nero. In un’intervista, Wenders sottolinea come lui stesso abbia girato la sua parte del film in bianco e nero per meglio integrare le fotografie di Salgado, memore anche dei suoi stessi film in cui usò la tecnica del black & white, come Nel corso del tempo (Im Lauf der Zeit), Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin) e Lo stato delle cose (Der Stand der Dinge).
Del resto, Wenders fa sentire la sua presenza nel film in modo discreto, quasi a voler scomparire e lasciar tutto lo spazio a Salgado e, soprattutto, alle fotografie: l’opera deve parlare da sola. Wenders ha spiegato di aver usato una tecnica quasi da “camera oscura”: “Sebastião era di fronte a uno schermo sul quale guardava le sue fotografie pur rispondendo alle mie domande in merito ai soggetti. La videocamera si trovava quindi dietro a questo schermo e filmava, per così dire, attraverso le sue fotografie, grazie a uno specchio semi-trasparente, sicché lui poteva guardare sia i suoi scatti, sia lo spettatore”. Per molti versi Salgado aveva la sensazione di reimmergersi in luoghi disperati, facendo corrispondere un viaggio interiore “nel cuore delle tenebre” a un viaggio esteriore in luoghi che suscitavano un autentico orrore.
Il film si conclude con un viaggio inatteso, dai toni intimi, con la descrizione della famiglia di Salgado, e insieme di deciso tenore ecologista, in cui i Salgado ritornano alla loro fattoria ad Aimores in Brasile: di fronte alla deforestazione devastante i Salgado intraprendono la scommessa di ripiantare due milioni di alberi. Quasi un happy ending che permette al grande fotografo di non perdere del tutto la sua speranza nell’umanità.