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William Friedkin. Il regista del male
Nato a Chicago nel 1939, William Friedkin è approdato al Parco della Musica lo scorso 23 maggio 2011 per un evento organizzato dalla Fondazione Cinema per Roma, della serie Viaggio nel cinema americano, incontrando il numeroso pubblico che ha anche posto delle domande cui Friedkin ha risposto con la sardonicità tipica del suo carattere, e molto vicina al suo maestro Orson Welles, con cui ha chiuso la serata.
Famoso soprattutto per L’esorcista, del 1973, tratto da una cronaca vera (una possessione demoniaca accaduta nel Maryland nel 1949), su cui William Peter Blatty impostò il suo romanzo omonimo, grazie a questo film Friedkin si guadagnò il titolo di “regista del male” che, per un credente non praticante come lui non è proprio piacevole. Friedkin esordisce proprio parlando del suo lungometraggio capitale, di cui viene proiettata la scena climax del film, ovvero l’esorcismo di Regan (Linda Blair) da parte di Padre Karras e Padre Merrin (rispettivamente Jason Miller e Maxc Von Sydow), la ragazza posseduta dal diavolo e dal demone Pazuzu(di cui si vede la statuetta assiro babilonese nel film).
Di fronte ad un film horror per antonomasia, L’esorcista appunto, di cui Friedkin invece rifiuta l’etichetta giudicandola limitante, il regista afferma, a proposito delle tematiche religiose che enuclea il film: “Tutta la Bibbia racconta la stessa storia di sempre ed io credo in essa: come credo nel bene e nel male, in Dio, nell’umanità: quando ho letto il romanzo di Blatty, basato su una storia vera, ho creduto subito che il ragazzo (nel film è trasformato in Regan) fosse effettivamente posseduto dal demonio.”
Per rendere credibile il film Friedkin ha vessato gli attori in tutti i modi; dal far fumare 3 pacchetti di sigarette al giorno alla doppiatrice di Linda Blair (personaggio di Regan) Mercedes McCambridge, agli spari improvvisi dietro gli attori per rendere più credibili i trasalimenti. Ma questo “trattamento” per gli attori non riguardò solo L’esorcista, il film con cui vinse due Oscar, Migliore sceneggiatura non originale a William Peter Blatty e Miglior sonoro a Robert Knudson e Christopher Newman, e quattro Golden Globe, Miglior film drammatico, Migliore regia a William Friedkin, Miglior attrice non protagonista a Linda Blair, Migliore sceneggiatura a William Peter Blatty, ma anche per l’altro film per cui maggiormente è ricordato, ossia Il braccio violento della legge (The French Connection, 1971).
Gene Hackman fu l’attore principale all’inizio non voluto da Friedkin perché temeva non riuscisse ad interpretare la parte del poliziotto duro che insultava prima di tutto i neri, e soprattutto perché Hackman non accettava l’autorità, e quindi sarebbe stato particolarmente difficile dirigerlo per qualsiasi regista. Friedkin, visto che si trovò alla fine a dirigerlo, usò il guanto di ferro al posto del guanto di velluto che di solito si usa con gli attori che, a parer suo: “sono tutti dei bambini”. Ogni volta che doveva dirigere le scene con Hackman gliele faceva rifare parecchie volte, anche più del dovuto, caricando pesantemente i rimproveri anche quando non ve n’era bisogno. Il risulato fun un film incredibile, soprattutto dal punto di vista della credibilità dell’azione: gli inseguimenti, il “chasing” fu protagonista con un Hackman che conquistò i tre premi del cinema per antonomasia: l’Oscar, il Golden Glober ed il BAFTA come Miglior attore protagonista per il personaggio del Detective Jimmy 'Papà' Doyle. Inoltre il film si aggiudicò l’Oscar per la Migliore regia a William Friedkin, Miglior film drammatico e Migliore regia ai Golden Globe, Miglior film a Philip D'Antoni (produttore, che vinse anche il David di Donatello), Migliore sceneggiatura non originale a Ernest Tidyman, Miglior montaggio a Gerald B. Greenberg; per i BAFTA, Miglior montaggio a Gerald B. Greenberg.
Per ultimo ricordiamo invece il film più controverso di Friedkin, che l’attuale moglie Sherry Lansing (nata nel 1944 e sposata con Friedkin dal 1992), a capo della Paramount Pictures, tuttora non riesce a vedere senza rimproverare il marito per un’opera totalmente scorretta. Cruising, del 1980, vede protagonista un Al Pacino agente di polizia, che s’inoltra nei club gay per trovare un serial killer che stupra e poi fa a pezzi le sue vittime, tutte rimorchiate appunto “cruising” (ovvero girando nei club per trovare un partner per una liaison sessuale). Il film però ha ricevuto parecchie critiche proprio dalla comunità gay che non si vedeva ben rappresentata, eppure Friedkin ha in un certo senso sdoganato i gay con questo film, sebbene sia drammatico, e soprattutto faccia pensare che l’approccio indagatorio a questi ambienti da parte dell’attore protagonista, che inizia a farsi domande sulla propria sessualità, sia deleterio, scatenando un’aggressività tale da far emergere l’assassino proprio in lui e uccidendo il suo vicino di casa, gay per l’appunto. La discesa negli inferi che espone un film come Cruising fa riflettere su quanto possano essere le nostre stesse paure non affrontate con equilibrio, a scatenare l’aggressione contro ciò che, evidentemente, non gestiamo a livello emotivo.