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Fanciulla del West apre il Festival Puccini. L'irruenta passione della musicalità di Dessì e Armiliato
Non è l’unico palcoscenico prestigioso della lirica in Italia, ma il teatro all’aperto Giacomo Puccini a Torre del Lago è forse il più magico per l’atmosfera suggestiva creata dalle acque del lago. Al Festival Puccini La Fanciulla del West con tre date: il 16 ed il 23 luglio e l’ultima del 7 agosto 2010. Daniela Dessì e Fabio Armiliato alle voci di Minnie e Dick, Alberto Veronesi alla direzione musicale e Kirsten Harms alla regia.
L’opera, andata in scena per la prima volta a New York nel 1910, a cento anni di distanza viene riproposta con un nuovo allestimento. In un campo di minatori della California la taverna è gestita da una giovane donna, Minnie. Giunge uno straniero, Dick Johnson, che la fanciulla riconosce come l’uomo da lei incontrato in passato e subito amato. Mentre Minnie e Johnson ballano,i minatori lasciano la taverna per inseguire il bandito Ramerrez, guidati dallo sceriffo Rance. Quest’ultimo, innamorato di Minnie,ritorna da solo al campo e la avverte che lo straniero non è altro che il bandito ricercato. Pur di salvare la vita dell’uomo amato, la donna avanza allo sceriffo una proposta: chi vincerà la partita a poker, avrà la donna e la vita del bandito. Minnie bara ed ottiene la salvezza del suo uomo. Nel terzo atto, però, i minatori catturano Ramerrez e lo vogliono impiccare. L’intervento disperato di Minnie, che ricorda agli uomini gli affanni condivisi, li commuove; Johnson, liberato, inizia una nuova vita con la ragazza.
L’opera parte un po’ in sordina, in quanto le voci dei personaggi, che popolano la taverna, devono ancora riscaldarsi. La prima scena ci introduce dentro la vita dei minatori, che bevono e si azzuffano durante violente partite a poker; qualcuno intona un canto melanconico, rievocando la figura della madre che lo aspetta a casa: è la nostalgia perenne dell’emigrato. Entra con piglio ardito Minnie, una figura complessa, in cui l’ingenuità della gioventù si intreccia con una saggezza di sorella maggiore (lettura della Bibbia), ma anche con una forte passionalità e coraggio (la partita a carte truccata). Per questo dalla regista Harms non è stata rappresentata come la ragazzona dai modi maschili con la pistola in mano, ma come una donna indipendente, inserita in una società violenta e maschile.
Solo un’artista sensibile come Daniela Dessì ha potuto cantare con tanta irruenta passione i contraddittori atteggiamenti del personaggio, unendo una forte presenza scenica. Ha emozionato la sua particolare vocalità, salita ai vertici nei momenti di grande tensione, così come il registro acuto del tenore Fabio Armiliato (Dick Johnson) dalla innata musicalità. Ben si adatta alla voce drammatica del baritono Carlos Almaguer il ruolo di Jack Rance. La semplicità di questa tipologia umana è calata in una inventiva musicale che fa uso del dialogo; basti considerare la scena della partita a carte, in cui si rinuncia al canto ed i personaggi parlano, mostrando le loro capacità attoriali. L’orchestra è stata diretta con attenzione dal Maestro Veronesi.
La regia di Kirsten Harms, le scene dello scultore Franco Adami ed i costumi di Giovanna Fiorentini (di effetto il vestito rosso di Minnie) propongono una ambientazione nuova. La messa in scena è fortemente connotata da un punto di vista visivo: non più le tradizionali capanne di legno, tipiche degli allestimenti di quest’opera, ma ampi spazi e mobili che richiamano la contemporaneità.
Le scene di Franco Adami rendono l’abbrutimento dell’uomo nella caccia all’oro, per questo la scultura “la pepita” è il simbolo che torna continuamente nei quadri dell’opera. I protagonisti sono i minatori, che creano una comunità di uomini duri, silenziosi al centro della storia. Adami li ha raffigurati simbolicamente nella schiera delle sculture monumentali allineate a bordo scena, come una sorta di coro muto.
Una parte del pubblico non ha condiviso queste soluzioni, tanto che alla fine dell’opera, quando gli artisti sul palcoscenico hanno raccolto i loro meritati applausi, all’apparire di Kirsten Harms si è levata una contestazione, che ha diviso il giudizio degli spettatori. Comunque la regia nella realizzazione di complicate scene di massa ha cercato di rendere la nostalgia ed il pessimismo degli emigrati, il tema della integrazione (Dick Johnson), decodificando in modo attuale la lezione di Puccini: non è la punizione, ma la comprensione che aiuta il mondo a progredire. Questa interpretazione ha reso l’opera attuale, tanto da attirare numerosi giovani spettatori.