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Fosse. Tragedia in solitudo estiva
Un giorno d'estate con la regia di Valerio Binasco, direttore stabile dell'Eliseo dal 2009, esordisce al Piccolo Eliseo Patroni Griffi. Una delle più recenti pièces teatrali del drammaturgo norvegese Jon Fosse, colui che è considerato l’ultimo erede di Ibsen.
Alcuni paralleli con altri autori teatrali contemporanei sono evidenti, anche nelle parole del regista: con Henrik Ibsen, di cui riprende alcuni spunti contenuti ne La donna del mare; con August Strindberg, la cui visione dell’amore intessuta di speranze e insieme di incubi riecheggia nel testo di Fosse; e con Thomas Bernhard, che ha affrontato anche lui temi come la solitudine, ma preferendo l’ironia arrabbiata alla malinconia desolata del drammaturgo norvegese.
Se aveva ragione Rainer Maria Rilke a definire i poeti “le api dell’invisibile”, in quanto ci mostrano dei mondi sconosciuti che ci fanno conoscere meglio quello in cui effettivamente viviamo (così come l’immagine virtuale dello specchio ci ricolloca nel mondo reale), potremmo dire che Fosse è un poeta non solo dell’invisibile, ma anche dell’indicibile: egli ci mostra ciò che non può essere detto, alternando parole e silenzi, pause e dialoghi.
Come ha osservato il regista (e adattatore) della versione italiana, Valerio Binasco, si tratta di un’opera di drammaturgia contemporanea minimale, che chiede allo spettatore di collaborare, integrando ciò che la scrittura non dice. Del resto, non tutti i significati sono esprimibili: alcuni si lasciano solo mostrare, e, come aveva osservato il filosofo Ludwig Wittgenstein (che amava anche lui soggiornare sui fiordi norvegesi, sia nell’età giovanile, sia negli anni della sua maturità): “ciò che può esser mostrato, non può esser detto” (Tractatus logico-philosophicus, 4.1212).
Il testo ci immerge in una vecchia abitazione isolata su un fiordo (rappresentata in una scenografia algida e spoglia, dominata dal bianco) per raccontarci la tragica fine di quello che sembrava profilarsi come un amore assoluto. Una coppia che decide di andare a vivere in uno stato di esclusione del (e dal) mondo degli esseri umani abituati al ritmo della vita borghese, illudendosi di potersi rifugiare in un luogo appartato dove vivere per sempre inseguendo una volontà di eterno idillio. Si renderanno conto, in modo lento e quasi impercettibile, che anche la comunicazione duale ovvero a due, indispensabile in un rapporto d’amore autentico, viene progressivamente meno.
L’orizzonte massimo di lui è quello della meditazione solitaria nella sua piccola barca: le paure tradizionali che più delimitano l’esistenza umana (quella di restare soli, di non essere amati, d’invecchiare, di morire, del credere che ci sia Dio o che non ci sia), vengono quasi compendiate nell’angoscia esistenziale suprema, quella di rapportarsi con l’Altro.
Così si comprende perché in un giorno di tempesta il protagonista maschile decida di avventurarsi in mare senza più fare ritorno: alla pressione del mondo umano esterno viene preferita la spoglia natura che diviene allegoria della psiche, quasi un correlativo oggettivo à la Eliot; le ore infinite sulla piccola barca sono descritte con poche e significative battute: “mi piace restare seduto sulla barca e sentire le onde pulsare – galleggiare su e giù – guardare il mare: quanto è profondo”.
D’altro canto la moglie osserva che forse lui non vuole proprio rimanere con lei, e resta a meditare rifugiandosi in quella che le sembra una grande calma vuota circondata da un buio assoluto: “sentivo quel buio vuoto che brillava di luce silenziosamente senza significare nulla”.
Di rilievo è anche l’intersecarsi di due piani narrativi: quello del tempo presente, che coincide con la narrazione, e quello del ricordo, che coincide con il dipanarsi della vicenda (tecnica antichissima, già perfettamente adottata da Platone nei suoi dialoghi, come il Fedone, il Simposio o il Parmenide, dove i piani narrativi sono addirittura incapsulati a somiglianza delle matrioske russe).
La squadra di attori appare ottimamente affiatata e riesce a trasfondere calore e intensità a una drammaturgia apparentemente fredda. La narrratrice anziana, che racconta le sue vicende da giovane, è interpretata da Elena Callegari, molto a suo agio nel ruolo che svolge. La sua controparte giovanile è Sara Bertelà, prima entusiasta e poi via via sempre più disperata. La sua amica, che entra in scena da vecchia e poi si sdoppia trasformandosi nel suo alter ego giovanile, è Federica Fracassi, mentre suo marito è Fabrizio Contri, che forse recita la parte meno drammatica della pièce. Il marito della protagonista, ossia il personaggio intorno a cui ruota tutto il dramma, è Emiliano Masala, che interpreta il suo ruolo in modo commovente ed insieme stralunato.