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The Irrepressibles al Roma Europa Festival. Pop barocco in amalgama glamour rinascimentale
Uno show onirico, visionario, piombiamo in un tempo tra anni ‘30, con le musiciste vocalist lascive e carnascialesche per costumi e movenze; e gli anni ’80 in piena new wave e post-romantic age con gli Irrepressibles (irrefrenabili), la band capitanata da Jaimie McDermott che scrive le musiche, le liriche e organizza lo spettacolo, dentro cui il pubblico naviga per circa un’ora e 15, al Palladium per il Roma Europa Festival nelle due serate del 3 e del 4 novembre 2010.
Pensare che un anno fa non avevano etichetta è incredibile: gli Irrepressibles, formatisi a cominciare da un annuncio di Jaimie McDermott che dal 2002 compone art-shows di varia natura, e che è di una disponibilità inaudita visto che l’abbiamo intervistato a fine concerto all’ingresso artisti del Palladium, ed è stato con noi almeno venti minuti d’emblée, senza aver previsto nulla, è altrettanto straordinario e soprattutto piacevole.
Costumi tra fetish e dark-new wave come anche il sapore della musica, tra post-rock melodico anni ’80 targato Japan (Nightporter in particolare) Kate Bush (Wuthering Heights) con Marc Amond sempre nelle retrovie delle tastiere di fondo. Sono anche sulla scia del primo album omonimo dei Duran Duran (datato proprio 1980) e di Seven and the Ragged Tiger che quasi nessuno ricorda ed invece meritano grossi apprezzamenti per l’inusitata vena post-romantic e la sperimentazione di nuovi suoni, anche distorti. Gli inserti sinfonici degli Irrepressibles tessono un tappeto all’intero cantato di McDermott, che passa dal falsetto alle profondità in modo inaspettato e sorprendente. L’apparato di archi tra due violini, una viola, violoncello e contrabbasso -assolutamente inusuali per il rock d’antan – costruisce un ambiente di sicuro fascino e presa sul pubblico che, nonostante le distanze d’età, approva con calore lo show ad ogni intervallo. Uno in particolare c’è stato per un triplice cambio di chitarra che ha fatto saltare svariate corde mentre McDermott, sconvolto dall’attesa, intonava “Silence is sexy” degli Einstürzende Neubauten (dall’omonimo album del 2000), motteggiando col pubblico.
Buio: I'll Maybe Let You risuona con tocchi glamour e sofisticati e McDermott si trascina sulle note affascinato, introducendo Love Laced Your Heart With Diamonds con voce alla Bryan Ferry e luci alternate all’oscurità più totale, come nei due precedenti show di Modena e Berlino. In My Witness il palco si illumina ed i costumi tra burlesque e café chantant, raffinatamente incrociati, assurgono a catalizzatori. Il pezzo è più ritmato e folk, voce in falsetto e con acuti. Gli archi suonano decisamente post rock; i musicisti appaiono più dinamici. La musica delle stelle si acutizza al seguito di In Your Eyes e sofferma lo sguardo sulle luci stroboscopiche di varie grandezze. L'inizio è quasi sperimentale, poi più folk.
My Friend Joe avanza sicura mentre si accendono le luci. La canzone Knife Song è di un pop più tradizionale: McDermott sussurra, poi recita, poi canta in stile cabaret. Dopo Knife Song il clou del concerto si accende con Forget the Past con un inizio quasi rock, poi più melodico, ed infine mutando in direzione delle sonorità dei Sigur Rós. Nuclear Skies è molto più ritmata, trasformandosi in una specie di ballad à la David Bowie o à la Antony & the Johnsons. Il cantato di Jamie McDermott anche se estremamente caldo rispetto a quello di Gabriel, lo ricorda nel periodo di Nursery Crime del 1971, in particolare di The Musical Box o di Selling England by the Pound, anche per il ritmo, flessuoso e inaspettato nell’evoluzione.
Le radici anni ’70 sono visibili proprio nell’imprevedibilità del percorso musicale di ogni canzone e notevole in Splish! Splash! Sploo!, canzone dotata di una carica dirompente giocata sulle capacità vocali di McDermott. È seguita da Anvil, che comincia sommessa e tenebrosa, divenendo poi più luminosa e nervosa, con archi e tastiere scatenati. Lullaby On The Lid Of My Eye comincia con una quasi polifonia e le voci appaiono riverberate.
Nei bis il loro capolavoro In this Shirt chiude il concerto dopo The Tide, che è molto folk, ma si conclude con un finale strumentale. In This Shirt comincia con un'introduzione di archi e organo riverberando un clima ancestrale, quasi rituale: sembra di essere in una chiesa oppure in quel Temple of Love che cantavano i Sisters of Mercy, sicuramente ascoltati nella loro fase più morbida (Floodland probabilmente). Colonna sonora perfetta del video del film di Shelly Love The forgotten Circus, si amalgamano perfettamente all'atmosfera perduta nel tempo rievocata dai clown, circo e anche nella versione darkromantic-fairy-tale per Nuclear Skies, riflettono lo stesso ambiente presentato in scena, brillantina rinascimentale con un tocco ombroso e glamour.
I am lost, in our rainbow, now our rainbow has gone,
Overcast, by your shadow, as our worlds move on,
But in this shirt, I can be you, to be near you for a while.
Sono perso, nel nostro arcobaleno, ora il nostro arcobaleno è svanito,
offuscato, dalla tua ombra, mentre i nostri mondi avanzano,
ma in questa veste, posso essere te, per esserti vicino per un po’.
(In This Shirt da Mirror Mirror, 2010, trad. mia)