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Le Terre emerse tra Surrealismo e Dada
Una parabola di icone dell’immaginario più spinto: dal conturbante Moreau fino all’irriverente Duchamp rivelano l’ultimo Novecento come irradiante timori e tremori ribelli sustanziati da forme e colori dalle facce molteplici e aggressive. Al Vittoriano di Roma la mostra dal Dada al Surrealismo fino al 7 febbraio 2010 a cura di Arturo Schwarz.
Molte opere provengono proprio dalle congrue collezioni di Vera e Arturo Schwarz, a partire da Il Veggente (Autoritratto, 1946) di Alberto Martini, che accoglie il visitatore nel corridoio di entrata alle grandi sale, insieme alla meraviglia simbolista della Venere che emerge dalle acque (1866) dell’ornamentale e prezioso Gustave Moreau, entrambi conservati all’Israel Museum di Gerusalemme nella sua collezione.
Di certo non ci stupirà osservare la Fontana (1917-64) di Duchamp in bella vista nella locandina che strizza l’occhio al pubblico, come a dire: “troverete anche qualche sovvertimento ironico e non la solita arte accademica che annoia molti – di questi tempi poco intellettuali e molto superficiali”. Amaremente magari e veridicamente. Ça va sans dire La religiosa fumante di Clovis Trouille va nella stessa direzione, cibo per adolescenti veri e per quelli cresciuti con la gotta, mentre la raffinatezza di Ithell Colquhoun con La famiglia Pino del 1941, coetanea quindi, necessita di una certa dose di sublimazione intellettuale – tanto quanto Il trionfo dell'amore del 1936 di Harry Carlsson, che son sicura apparirà temibile con la sua gioia feroce e crostacea ai poveri locandieri della mostra.
D’altronde Eluard ci guarda attraverso Breton nel Ritratto di Paul Eluard del 1930, a firma dell’assertore del Manifeste du Surréalisme e nelle pagine immaginifiche del Bulletin International du Surréalisme del 20 agosto 1935. Ed il suo Anche guanto di donna... (1928 ca.) in bronzo, ci magnetizza di terrore fra occhi rossi e simil farfalla. Nello stesso periodo Alberto Giacometti scolpiva Donna, Donna distesa che sogna e portaoggetti (1929-31), bianche emozioni plastiche nella teca di cristallo che le riflette nella loro accogliente rotondità. La feticista Venere (1936-71) di Man Ray, cinta da corde esplode nella corporealmente seduttiva Stella cadente (1938) di Joan Mirò, di cui si distingue l’orlo della calze femminili.
Eccoci all’esplosione di colori azzurrini del cavaliere ceruleo dell’arte: Kandinsky con Fisso del 1935, l’intensità opaca dei colori sovverte lo spirito negativo alla ricerca di strali come il fiammeggiante Poltergeist (1941) di Maddox oppure la Ginandrologia III (1947) di Iaroslav Serpan, acquietata dal sole aranciato e pacato di Max Ernst in Il mare (1925). L’Indolenza (1945) di Wilhelm Freddie abbandona i suoi corpi senza volto in territorio marziano, appendendoli a concatenazioni di pianeti, mentre la Sonnambula (1940) di Victor Brauner li scruta nella sua sfera esagonale.
Di certo gli amanti di Valentine Hugo nella sua Composizione con paesaggio parigino e due personaggi (1930 ca.) hanno scoperto L'uovo di Colombo (Ritratto di Lise Deharme, 1938), senza esser visitati dal perturbante cielo di Toyen in La notte rotola delle grida del 1955 con due farfalle a forma di cuore divise dai rami di alberi accomunati dalla vicinanza. Neppure aspetteranno Paul Delvaux con il suo Aspettando la liberazione (Scheletri in ufficio) del 1944, di façon intellettuale però.
E’ probabile invece che La regina Salomé (1937) di Dalì si attardi alla visione del celeste Tanguy in Due volte il nero (1941), una prospettiva ospitale rispetto al seppia di prima oppure all’aquila dagli occhi scuri e rossi di L’ora pericolosa di Toyen, le cui mani conducono all’aquila antromorfica di Frances nella sua Composizione con un uccello, un uomo e una ragazza del 1960. Tutto ciò soltanto per librarsi sulle alture di Magritte e del suo Il castello sui Pirenei (1959), oppure da Disertore (1931) con Victor Brauner nella lussureggiante e ancora magrittiana L’Isola del tesoro (1945), per poi cangiare forma da piante in uccelli appena sbocciati sugli steli.
Sembra di essere approdati nelle tele delle Terre emerse del fotografo Mimmo Frassineti, di kandiskiana memoria e croma, con i suoi azzurrati Viaggi nelle Città nuove e per i ritratti di poeti scomparsi, Poe, Baudelaire, Leopardi, e viventi, Mario Lunetta, a scoprire tra collage e dipinto la fluidità dell’aria in supernove esplose e visibili in itinere al Glub e alla Galleria Sinopia di Roma fino al 29 gennaio 2010. Da osservare in un percorso dentro la luce acquosa in una vibrazione celeste.