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Vallanzasca. L'iconoclastia di un mito criminale
“Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è intesa unicamente per l'autoflagellazione”: l’aforisma di Truman Capote (1924-1984) campeggia sui titoli dell’ultimo film di Michele Placido, Vallanzasca, sottotitolo Gli angeli del male, dall’autobiografia di Renato Vallanzasca a cura di Carlo Bonini (giornalista di La Repubblica), titolata Il fiore del male ed edita da Marco Tropea nel 2009.
Il bel René, ovvero il criminale milanese Renato Vallanzasca (nato a Milano il 4 maggio 1950) detenuto attualmente nel Carcere di Opera a Milano, in permesso lavorativo dall’8 marzo 2010* dalle 7.30 del mattino alle 19 di sera, è stato condannato a quattro ergastoli e 260 anni di galera. E’ accusato di sette omicidi di cui quattro attribuiti direttamente a lui – e questo nel film è già piuttosto lacunoso – e di una serie di rapine a mano armata oltreché di sequestri di persona, il caso di Emanuela Trapani in particolare del 1976, evasioni e latitanze. Bel ragazzo dagli occhi cerulei, nel film di Placido è interpretato da Kim Rossi Stewart con cui rasenta una somiglianza abbastanza impressionante.
Insieme a lui nel film ci sono Valeria Solarino, nella parte di Ripalta Pioggia, detta Consuelo, la prima donna di Renato Vallanzasca e madre del suo unico figlio, Massimiliano; Filippo Timi, in quella del “fratello” (amicizia fraterna da bambini e poi di banda) Enzo; Francesco Scianna, in quella del boss della mala milanese con cui ha una faida, Francis Turatello; la parrucchiera ed amica d’infanzia che poi sposerà l’8 maggio del 2008 Antonella D’Agostino – dopo aver divorziato da Giuliana Brusa, che aveva sposato il 14 luglio 1979, nel carcere romano di Rebibbia - interpretata da Paz Vega; e Moritz Bleibtreu, irriconoscibile, nella parte di Sergio, entrato a far arte della stessa banda della Comasina.
L’assalto al circo per liberare la tigre fa esplodere il film sul mito di Vallanzasca come iconoclasta, e rimasto così tuttora dichiarando: “Ai giovani dico di non avere miti, perché i miti sono pieni di debolezze. E peggio ancora, un mito come il mio è da idioti. Ho trascorso 40 anni in carcere e ne esco solo per lavorare gratis. Spero presto di poter aiutare dei ragazzi difficili, proprio per dissacrarne i miti.”
Il film di Placido è prodotto, oltreché dalla Fox e dalla Babe Film, dalla Cosmo Production, società dove la moglie di Vallanzasca, Antonella D'Agostino, fa la consulente e molti sono stati gli incontri di Vallanzasca sia con il regista che con il protagonista Kim Rossi Stewart. Il film, il cui sfondo apologetico irride in qualche modo le vittime ed i loro parenti, creando un affascinante percorso a tinte forti nonché rocambolesche ed ironiche, è però piuttosto vicino alla cronaca della vita del criminale, citandone pari pari parole ed episodi, come quello dell’irriverenza verso i giudici al processo del 1987 (video sotto) dove dichiara, rivolgendosi ai magistrati: “Se volete parlare solo voi e fare solo voi le domande, io che ci sto a fare? Il processo fatevelo da soli!”
La personalità del rapinatore di supermercati e poi banche, arrestato nel 1972 da Achille Serra, allora Dirigente della Sezione Sequestri e Rapine della Questura di Milano dal 1972 al 1983, è evidentemente esuberante ed arrogante, tanto che, nonostante condannato, dichiara nel film: “Non sono cattivo: ho soltanto il lato oscuro un po’ pronunciato.” Di nuovo uno sberleffo per le sue vittime. Nonostante ciò, in carcere inizia a ricevere migliaia di lettere di ammiratrici e con una di queste si sposa: la già citata Giuliana Brusa che lo difende tuttora (cfr. il video Due donne a confronto tratto da La storia siamo noi
di Giovanni Minoli).
Il bravo e credibile Francesco Scianna interpreta il meno bello nella realtà, boss della mala milanese Francis Turatello, con cui Vallanzasca prima s’incrociò per ritorsione, uccidendo alcuni dei suoi, poi stabilì un'unione mai chiara, e di cui si accenna in modo misterico nel film: tuttora sconosciuti sono i motivi per cui fu accoltellato in carcere ed ignoti i mandanti del delitto.
La straordinaria interpretazione di Kim Rossi Stewart rende fin troppo piacente un delinquente che però si è pentito, come abbiamo già detto prima e che nel libro L'ultima fuga scritto con Leonardo Coen (edito da Baldini Castoldi Dalai nel 2010) e presentato alla scorsa Mostra di Venezia, confessa l’efferato omicidio del pentito Massimo Loi (all’epoca 19 anni), inabile criminale della sua banda che si lascia sfuggire un mitra ed uccide un impiegato di banca. Nel film sarà Enzo, nel ruolo Filippo Timi, ucciso efferatamente da Vallanzasca nel supercarcere di Novara il 21 marzo 1981, dopo aver saputo che aveva minacciato e malmenato i suoi genitori per portarsi via i soldi che pensava fossero in casa loro. La cronaca afferma che dopo giocarono colla testa del giovane a pallone.
Un film da vedere con circospezione, soprattutto per la strizzatina d’occhio che rivolge al pubblico, quasi a far alzare quell’indice di gradimento per un criminale di bell’aspetto senza nessuna controparte (Achille Serra nel film non compare), e dove vengono piuttosto sottolineati i due episodi d’evasione di Vallanzasca: il primo, corrompendo la guardia in ospedale dove era finito procurandosi volontariamente l’epatite; il secondo, nel 1987, durante il suo trasferimento all’Asinara, per cui vengono condannati i cinque agenti di scorta.
Ciò che invece va effettivamente correlato alle ultime morti i carcere sono i pestaggi ricevuti da Vallanzasca in galera (provocati da lui nel film): da Stefano Cucchi nel 2009, a Marcello Lonzi, 29 anni, morto in cella nel 2003, ad Aldo Bianzino, 44, morto nel 2007. Giustamente critico sui comportamenti tenuti in certi casi dalle guardie carcerarie, fa riflettere su un luogo degenere come il carcere e su un periodo, quello delle rivolte carcerarie degli anni ‘80, che ha sepolto tanti delitti sotto lo scudo dell’omertà criminale.
Precedente, solo la pellicola di Mario Bianchi La banda Vallanzasca del 1977.
* Nota A partire dall'8 marzo 2010 Renato Vallanzasca può usufruire del beneficio del lavoro esterno. Gli viene concesso di uscire dal carcere alle 7.30 per lavorare, e rientrarvi alle 19.00. Vallanzasca usufruisce di una forma di permesso, concesso in base al primo comma dell'articolo 21 dell’ordinamento penitenziario, valido anche per i detenuti condannati all'ergastolo che siano stati già in reclusione da almeno 10 anni.