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Vittoriano. La tragica monumentalità di Mario Sironi
Il Complesso del Vittoriano di Roma ospiterà fino all'8 febbraio 2015 una ampia e interessante retrospettiva dedicata a Mario Sironi e curata da Elena Pontiggia, in collaborazione con l’Archivio Sironi di Romana Sironi.
La mostra Mario Sironi. 1885-1961, non solo vuole rendere omaggio a uno dei più grandi artisti del '900, ma fa parte di in progetto espositivo dedicato alla pittura italiana XX secolo, cominciato con Renato Guttuso e poi con la mostra Cézanne e gli artisti italiani, influenzati dal grande maestro, a cui si ispirarono molte delle avanguardie del secolo scorso, e che continuerà con “Giorgio Morandi. 1890-1964” nel 2015.
Per motivi esclusivamente politici, l'adesione al Fascismo mai rinnegata, Mario Sironi è stato oggetto di un ingiustificato ostracismo, che ha volutamente ignorato come anche molti altri, e soprattutto, non solo gli artisti, avessero fatto lo stesso, probabilmente non gli fu perdonato di non averlo rinnegato prontamente dopo Il Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943, né successivamente, anche se fu contrario fin da subito alle Leggi razziali emanate dal 1938 fino al 1943.
L'esposizione, che ripercorre le tappe del percorso artistico di Sironi, chiarisce anche le motivazioni ideali dell'artista che furono sicuramente influenzati dalle correnti ideali ed artistiche del primo '900, la curatrice riferisce nel saggio sul catalogo quello che Picasso, di idee politiche opposte, affermò “Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto”. Nato a Sassari, trascorse l'infanzia e la giovinezza a Roma, la cui monumentalità lasciò un imprinting indelebile nella sua visione artistica.
Le prime opere sono influenzate dal Divisionismo simbolista di Previati, Segantini e Balla; quando cominciò a frequentare la Libera Scuola del nudo di via Ripetta a Roma incontrò anche Boccioni che divenne suo intimo amico e gli presentò Balla. Di questo periodo Il pascolo e La chiesa di Ghisallo hanno l'impronta di Segantini, mentre la tecnica squisitamente divisionista è impiegata per La madre che cuce e l'intenso Ritratto della madre. Non sono solo loro ad affascinare il giovane che copia anche Utamaro e Morris, come si vede dagli Ex libris di Giulia Sironi in mostra. L'Autoritratto di quegli stessi anni ci rivela il viso di un uomo tormentato, teso.
Sironi fu un acceso nazionalista, sostenne la necessità della guerra e si arruolò, come molti artisti che aderirono al movimento Futurista tra cui l'amico Boccioni, che morì in guerra nel 1916. Una digressione è opportuna, l'imperante, esasperato nazionalismo ampiamente diffuso, non solo in Italia ma anche in tutta Europa, e ampiamente sfruttato dal Fascismo e dai diversi regimi, tra cui quello nazista e quello sovietico, fu uno strumento propaganda usato fin dall'inizio del regno d'Italia; determinante promotrice ne fu la regina Margherita, che arruolò alla causa Carducci e, non a caso ma coerentemente, sostenne poi Mussolini.
È importante sottolinearlo perché il nazionalisno influenzò le idee del giovane Sironi e spiega in parte la sua adesione al Fascismo. L'amicizia con Boccioni e la partecipazione al movimento futurista sono testimoniate da quadri come Testa, dipinti come Il camion e dai collage l'Arlecchino e Il bevitore. L'influenza di Cézanne, la sua pittura in cui la forma, il volume geometrico delle cose e delle persone ritornavano protagoniste influenzarono le avanguardie: il Futurismo, il Cubismo e la Metafisica.
Dopo la guerra in un periodo di transizione Sironi fu affascinato anche dalla Metafisica di Carrà e De Chirico La lampada (1919) ne è una testimonianza. Un importante teorica e critica d'arte fu Margherita Sarfatti, che sostenne sempre il Futurismo e aveva incoraggiato Sironi, che le fece vari ritratti, di cui uno di questa epoca di transizione è in mostra. Nel 1919 la Sarfatti nella recensione de la Grande Esposizione Nazionale Futurista citò il Filebo di Platone. In quel dialogo Platone, attraverso Socrate afferma: “Io parlo della bellezza delle figure..(...). Ma secondo suggerisce la ragione , intendo alludere a un qualcosa di dritto e di curvo e le figure formate da queste linee per mezzo del tornio, sì in superficie che di tutto tondo, e quelle formate per mezzo del piombino e della squadra (…) Per loro natura sempre sono esse stesse belle – e aggiunge – Paul Cézanne, che certo non le conosceva, ascoltate invece se non pare che le commenti :' Ciascheduna cosa in natura, è modellata sulle linee della sfera, del cono e del cilindro'.”
È una intuizione acuta che analizza la nascita di una diversa sensibilità che stava cominciando a manifestarsi nella Metafisica e nel ritorno all'ordine, che aveva come fonte di ispirazione Giotto, Masaccio e Piero della Francesca e vide Sironi tra i protagonisti e tra i fondatori di Novecento Italiano 1922. Di quel periodo iniziale sono esposti gli inquietanti e imponenti Paesaggi urbani, ma non solo. Negli anni venti nelle opere ci sono ancora echi del Futurismo ma anche del coevo Espressionismo tedesco. In esposizione degli anni venti ci sono tra le altre una Natura morta, che ricorda Cézanne, mentre l'Architetto, Venere, Solitudine e La famiglia anticipano le figure simboliche e la predilezione per i colori scuri delle opere pubbliche degli anni trenta.
Le opere pubbliche, le vetrate, gli affreschi e i mosaici appassionarono Sironi in quanto poteva rappresentare ideali in cui credeva, come l'esaltazione del lavoro a cui si aggiunge una rivisitazione personale del grande affresco e della decorazione nella grande tradizione della pittura italiana. La pittura murale e ideologica caratterizzò molto l'arte dell'inizio del '900, l'esigenza di rappresentare nuovi soggetti, le masse proletarie, i lavoratori fu ampiamente diffusa tra gli artisti , se ci fu un Diego Rivera, e non solo, in Messico, ci fu anche la pittura dell'URSS, dove molti artisti, dopo un'iniziale entusiastica partecipazione, furono disillusi e poi perseguitati dal regime staliniano.
La prima commissione pubblica fu la vetrata del Ministero delle Corporazioni (1931), ora Ministero dello Sviluppo Economico, che doveva celebrare la la Carta del Lavoro, promulgata da Bottai nel 1927. Questa vetrata è stata recentemente oggetto di un restauro, sponsorizzato da ACEA, che si è appena concluso e di cui da pochi giorni c'è il filmato in mostra. La splendida vetrata esalta il lavoro, nella parte centrale un Italia turrita presenta la carta del lavoro, nella parte superiore sono rappresentate fabbriche, porti, aerei acquedotti, la modernità, mentre nella parte inferiore ci sono i lavori della tradizione. Nelle due laterali sono effigiati in sequenza a riquadri, figure allegoriche del lavoro tutelato dalla carta: agricoltura, industria terrestre e navale ma anche la scultura e l'architettura.
Questa opera segnò l'inizio della collaborazione con l'architetto Marcello Piacentini, che continuò tra l'altro con l'affresco dell'Aula Magna della nuova sede dell'Università La Sapienza di Roma: L'Italia tra le Arti e le Scienze. L'uso di simboli e allegorie venne sempre più affinato e utilizzato, ci sono in mostra disegni preparatori, anche del mosaico L'Italia corporativa che fu esposto all'Esposizione Internazionale di Parigi nel 1937. Queste opere rispecchiano la visione dell'artista, epica e monumentale, retorica sì, ma non trionfalistica semmai drammatica della condizione umana. Progressivamente Sironi si volse ad una rappresentazione che evoca i bassorilievi di epoca classica o la narrazione giottesca.
La guerra, la caduta del Fascismo e poi l'isolamento del dopoguerra condizionarono l'attività dell'artista; solo pochi come Gianni Rodari, che da partigiano gli salvò la vita o Giovanni Testori lo difesero apertamente. La pittura diventò sempre più cupa e tragica nella sua essenzialità; in esposizione se La penitente (1945), evoca Giotto, ne La siesta (1946) la figura umana è oppressa e giace in un ambiente scuro dominato dal colore nero. Sironi ritornerà ad uno dei soggetti preferiti, Il lavoro (1949) ma in modo profondamente diverso, la figura è schiacciata, la rappresentazione è tragica, non più epica, divisa in una parte superiore, in cui è collocato l'uomo, nella inferiore c'è la casa con un albero nudo ed è sovrastata da un'incombente costruzione su cui sono incisi segni indecifrabili.
Sembra un bozzetto preparatorio per un bassorilievo, per un'opera di ben più grandi dimensioni, forse l'artista pare non rinunciare alla progettazione di opere murali. Ancora più tragicamente desolata è la tempera su tela, quasi monocroma, Il mio funerale (1960), il carro funebre seguito da pochissimi ha uno sfondo monumentale in rovina. Rovine rocciose sovrastano e opprimono gli uomini, bianche larve che si agitano in uno sfondo rosso cupo, nell'Apocalisse del 1961 l'anno della morte. Segnaliamo per chi volesse approfondire il catalogo con saggi che analizzano diversi aspetti dell'arte di Sironi.