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46° Cantiere di Montepulciano. L'ambrosia del Dioniso della danza
L'ordine cosmico è evidentemente stato travalicato: Figli di un Dio ubriaco ce lo mostra attraverso lo spettacolo di Michela Lucenti e della sua compagnia del Balletto Civile nel Duomo di Montepulciano, come spettacolo di apertura del Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano. Il 16 luglio, un venerdì, è stato messo in scena questa mixture tra balletto, rappresentazione teatrale, concerto dal vivo con i suoni dell'Ensemble Barocco Cremona Antiqua diretto da Antonio Greco, nuovo direttore musicale del festival tra Val d'Orcia e Val di Chiana.
Dioniso è il dio ubriaco e che ubriaca, in un luogo, come Montepulciano, dove le gocce del Nobile si versano in calici ricolmi di un rosso bruno, quasi nero, e dove quell'incrocio che tanto adorava Nietzsche, fra apollineo e dionisiaco si stemperava solo col sangue, di notte, poiché la luce non sopporta il caos delle tenebre. Zeus, il padre, che salva il figlio ma lo condanna, proprio per salvarlo, a “nascere due volte”, all'esilio sul Monte Citerone, ad essere il dio dell'orgiastico disordine generato dalle passioni disinibite e spronate dalle Baccanti. E queste ci conducono dritti dritti al fondatore del Cantiere di Montepulciano: perchè Hans Werner Henze ha scritto The Bassarids nel 1965, su testo di Wystan Hugh Auden e Chester Kallman, traendolo dalle Baccanti di Euripide - la partitura è stata elaborata su richiesta del Salzburger Festpiele nel 1966 per il Großes Festspielhaus e nella stagione 2015 – 2016 ha inaugurato la stagione dell'Opera di Roma.
E' chiaro che corrono secoli fra la rappresentazione del sacro nell'antica Grecia, che Henze riprende, e questa del Balletto Civile di Michela Lucenti, ma di teatro si tratta ed il rito è presente in ogni sua parte, sebbene traslata in costumi, azioni, ruoli, moderni. Una connessione diretta però la si trova immediatamente: il rovesciamento dei valori e dei generi è evidente con Hamlet che, in questo caso, si pone domande sulla sua identità di genere (Paolo Rosini); il dramma dell'immigrazione svelato dalla relazione perduta di Ahmed; un continuo frammentarsi delle coppie; il sistema lavorativo profondamente precarizzato (l'insegnante); l'epilessia come estrema disjunctio da sé stessi; il suicidio, come ultima istanza.
Il canto del soprano Valeria La Grotta si e ci chiede, attraverso le parole dell'aria di Barbara Strozzi “Che si può fare”:
Così va rio destin forte tiranna,
Gl'innocenti condanna:
Così l'oro più fido
Di costanza e di fè, lasso conviene,
lo raffini d'ogn'hor fuoco di pene.
Le pene inscenate sono molteplici, continue, di vario grado come di straordinaria natura: fisica, pisichica, causate dall'esterno ma tutte avvolte in un materiale trasparente quanto avviluppante, il cellophane che soffoca e riduce le distanze come azzera il contatto; lo strattonano, lo riuniscono per avvicinarsi; l'epilettico tenta di strozzarsi, ma viene salvato, ecco, alla fine, anche questo Dio ubriaco, dionisiaco, in trance, spasmodico, avrà una requie e con esso ci pascerà la musica altrove, quella dell'Ensemble Barocco Cremona Antiqua diretto da Antonio Greco, che divinamente ci ha tratto e condotto altrove, lontano da Tebe, lontano dal Monte Citerone, lontano da ogni maledizione a suggere bevande che sanno d'ambrosia e non solo di speme.
Conclusione e chiave, la ascoltiamo da Penteo, protagonista delle Bassaridi di Henze:
“L'uomo nega ciò che non capisce al di là di sé stesso.”