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8 e mezzo. Un surreale delirio borghese I
Otto e mezzo (1963) di Federico Fellini è considerato uno dei più grandi film della storia del cinema, è stato inserito dalla rivista inglese Sight & Sound al nono posto nella top ten, secondo la classifica redatta dai critici, e al terzo in quella stilata dai registi.
La pellicola ispira intere generazioni di registi, a sua volta risente dei capolavori di Ingmar Bergman (Il posto delle fragole) e gode della stessa ispirazione del cinema di Woody Allen. Nanni Moretti ha girato diverse pellicole sulla falsariga di Otto e mezzo, prime fra tutte Palombella Rossa, che riflette la crisi politico-artistica di un intellettuale.
Guido Snàporaz è un regista in crisi di ispirazione, impersonato da Marcello Mastroianni, ancora una volta alter ego di Fellini, per un film autobiografico e fantastico scritto dal regista insieme a Flaiano, Pinelli e Rondi. Molti critici ritengono Otto e mezzo uno dei momenti più alti dell’arte felliniana, perché è la storia di un regista che racconta con sincerità la crisi di un uomo e di un autore. Fellini mette a nudo le sue difficoltà, rivela al pubblico la paura di deludere le aspettative, la fatica nel regolare i conti con fantasmi, ricordi e volti del passato, soprattutto di farli convivere con il presente.
Guido si divide tra una moglie borghese (Anouk Aimeé), che tradisce ma non sa lasciare e una sensuale amante (Sandra Milo), racconta la sua vita per mezzo di simboli fantastici e surreali. Il regista fa muovere il suo personaggio in una stazione termale, ma tramite parti oniriche lo trasporta nella casa romagnola di quando era bambino, nel collegio cattolico che reprime la sua sessualità e la scoperta della prima donna.
La pellicola è un susseguirsi di flashback e parti oniriche, incubi che sembrano strade senza uscita, sogni megalomani che racchiudono le donne della sua vita, voglia di purezza e di fuga. L’attacco fantastico cita Miracolo a Milano e l’idea di Zavattini dell’uomo che vola sopra la città. Le citazioni all’interno della pellicola si sprecano e sono tutte rivolte al cinema di Fellini. “Che ci prepara di bello? Un altro film senza speranza?”, dice il medico dello stabilimento termale.
La figura di un critico intellettuale accompagna il lavoro di Fellini, come un antipatico grillo parlante che contesta ogni nuova intuizione. “Se manca un’idea problematica il film è inutile… cosa vogliono comunicare questi autori che non sposano nessuna causa?”. Le parti oniriche che riportano al passato sono i momenti migliori della pellicola, soprattutto quando Fellini ricorda i genitori e ammette che “abbiamo parlato così poco tra noi”. Avrebbe tante domande da fare a un padre che non vedeva mai, ma ormai è tardi, nessuno può starlo a sentire.
I sogni del regista sono popolati dalla figura della moglie che osserva da lontano, da un collegio di preti dove ha passato l’infanzia e da una musica languida che fa da sottofondo. La casa della nonna, il bagno in tinozza, le espressioni dialettali, il focolare acceso in una casa antica, sono altri momenti lirici. Il regista incontra Mario Pisu e Barbara Steele, un’insolita coppia di amanti che potrebbero essere padre e figlia. La scelta degli attori per il film è impegnativa, ma anche liberarsi di una folla di scocciatori, giornalisti, critici, ammiratori e curiosi non è un lavoro di poco conto.
Non manca la memoria del circo con il clown Polidor che interpreta se stesso e risponde ai dubbi del regista. La pellicola è intrisa di interrogativi inquietanti sulla crisi creativa: “Non sei più quello di prima…”, pensa il regista. “E se fosse il crollo di un bugiardaccio senza più arte né talento? Se non fosse una crisi passeggera? Forse è davvero ora di farla finita con i simboli…”, teme.
Fellini introduce l’argomento religioso e l’eterna contraddizione di chi ha avuto un’educazione cattolica, non riesce a trovare la fede, ma vorrebbe restare folgorato sulla via di Damasco. Ricorda il seminario frequentato da ragazzo, l’incontro con la Saraghina e le persecuzioni erotiche da parte dei frati che facevano naufragare i tentativi di spiare la prostituta.
Il critico intellettuale bacchetta il regista indeciso: “La sua è una mancanza di vera e profonda cultura. Non ci può propinare dei piccoli ricordi bagnati di nostalgia. Le sue ambizioni di denuncia ne escono frustrate”. La figura dell’intellettuale serve a Fellini per mettere alla berlina le critiche di certa sinistra che lo avrebbe voluto schierato con maggior decisione su posizioni marxiste. Il regista confessa che il suo unico desiderio è quello di raccontare la grande confusione che un uomo tiene dentro. Non è importante che il pubblico capisca, almeno non è la prima cosa da considerare.
La pellicola procede tra contraddizioni e dubbi, soprattutto quando entra in scena la moglie consapevole dei tradimenti. Il regista si lascia lusingare dal richiamo della chiesa, perché avere la benevolenza della chiesa è avere tutto nella vita, forse converrebbe baciare il loro anello e dirsi pentiti.
Continua nella seconda parte che sarà pubblicata domenica 28 dicembre