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Apriti Sesamo. Ritorna l'esoterismo pop...olare di Franco Battiato
Quelli che sono i classici clichés di Franco Battiato in questo nuovo disco, intitolato Apriti Sesamo, ci sono tutti:
i testi che cercano di esprimere concetti difficili con semplicità, la voce che accarezza lo spirito con tocco leggero ma che spinge a fondo come un massaggio shiatzu, le armonie musicali che sembrano rincorrere con fatica le parole: ma poi all'improvviso ci si scopre come posati su quel tappeto costituito dalle morbide sonorità e da cui ci si lascia dolcemente trasportare, fra i rovesci temporali in cui Battiato volteggia.
Veniamo condotti tra evoluzioni cosmiche e terrestri, con gli squarci improvvisi dei flash della propria esistenza e dei propri ricordi di vita, in un caleidoscopio d'immagini che provengono da un passato senza tempo, come ferme lì, sospese nell'eternità e verso quel senso d'infinito in cui siamo trasbordati come su una navicella verso nessun approdo e dove di tanto in tanto si aprono soltanto finestrelle di sensazioni sempre cangianti: su di esse cerchiamo di soffermarci ma senza riuscirci, perché la piacevolezza è proprio nel godimento del viaggio metafisico e spirituale in cui Battiato ci catapulta.
Trovano posto così queste nuove canzoni come acquerelli che raffigurano infiniti scenari di contemplazioni mistiche in cui si disvelano i simboli che la natura e il sacro continuamente inviano verso l'uomo; Battiato ci aiuta a dipanare e pulire la fuliggine che in modo subdolo si frappone fra noi e l'essenza vera delle cose, sempre più offuscate dai vortici della dispersione e dalle confuse pulsazioni che tendono all'effimero. Ecco così queste canzoni, a cominciare dalla bellissima "Un irresistibile richiamo", per continuare con "La polvere del branco", fino alla "Passacaglia" (liberamente ispirata alla Passacaglia della vita, un'opera del primo barocco del compositore e sacerdote Stefano Landi), che si dipanano come meditazioni e che in effetti fanno di questo nuovo lavoro del cantautore catanese come una preghiera laica e intensa, rivolta a far ritrovare quelle stabilità e quelle certezze per ciò che sono i sapori e i ritmi ordinari della natura senza mai andare contro un qualcosa ma soltanto come affermazione di una consapevolezza lucida nell'affrontare la vita e la morte, il passare del tempo e l'invecchiamento, con accettazione serena e quasi buddistica di quello che si è e che siamo.
Forse un disco leggermente meno pop rispetto all'ultimo lavoro di pezzi inediti costituito Il vuoto, e più vicino, almeno nell'intenzione di un certo tipo di ricerca spirituale, alle atmosfere di Come un cammello in una grondaia anche se senza quella gravità e solennità che contraddistingueva quel capolavoro.
Infatti, qui la matura serenità del cantautore si riveste di sonorità più dinamiche e leggere ma senza scivolare nel canzonettistico o nel Battiato più orecchiabile. In ogni caso,la peculiarità e la forza di Battiato, che consistono nell'esporre con un linguaggio immediato e non elitario argomenti non usuali, che scavano nel filosofico, nel senso della vita e nella ricerca mistica, fa in modo che il disco divenga, detto alla Friedrich Nietzsche, come un'opera per tutti e nessuno; esso che si aggiunge alla lunga costellazione di album dell'artista e va a consolidare ulteriormente la sua dimensione musicale, sorta via di mezzo fra il leggero e il profondo e che dà ancora più lustro al percorso che Battiato ha saputo tracciare con maestria e univocità verso le terre del sacro e del trascendente, senza mai però scivolare nell'apologetica di una qualsivoglia religione, ma soltanto ponendosi come uomo in perenne tensione mistica e che cerca di aprirsi un varco di luce fra le tenebre che avvolgono questo nostro fuggevole, vacillante viaggio nella vita terrena.