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Arena di Verona. Turandot sotto la luna piena
All'Arena di Verona torna dal 4 agosto al 2 settembre Turandot di Giacomo Puccini con il finale lungo di Franco Alfano, elaborato su richiesta di Ricordi, dopo la morte del compositore nel 1924 lasciando l'opera sua piu' suggestiva incompiuta. Con la coppia stellare russo-azera Anna Netrebko- Jusif Eyvazov nei ruoli di Turandot e Calaf e Marco Armiliato sul podio per l'allestimento storico di Franco Zeffirelli, la sera del 10 agosto abbiamo seguito la fiaba musicale di Puccini all’Arena di Verona come quinto e ultimo debutto operistico del 99° Festival 2022.
Turandot, l’ultima opera di Puccini ispirata alla fiaba teatrale di Gozzi, andò in scena per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, diretta da un commosso Arturo Toscanini, che scelse di concludere la serata proprio con la morte di Liù, punto esatto in cui l’autore si era spento un anno e mezzo prima. Il libretto dei veronesi Giuseppe Adami e Renato Simoni e gli appunti pucciniani per la conclusione furono affidati al compositore Franco Alfano: è con questo finale che la fiaba musicale di Puccini si è presentata torna in Arena.
Turandot è un grande affresco sul femminile fatale e vendicativo: la Principessa Turandot è infatti la reincarnazione di un'antenata (l'Ava di cui ripete anche nel finale ricostruito da Alfano, da Berio ed infine da De Simone, e di cui Puccini parlò all'Adami ed al Simoni più volte nelle sue lettere) che ha subito una violenza che lei si è incaricata di vendicare su tutti i suoi pretendenti, negandosi a quell'amore per cui Liù morirà, trapassata da un pugnale: in questa versione presentata in Arena viene giustamente osannata dal pubblico, impersonata dall'emozionante soprano spagnolo Ruth Iniesta (Saragozza, 1095), applaudita piu' volte e che ha debuttato a Verona proprio con Liu' nel 2018.
Il grande travaglio nella composizione della sua ultima opera in qualche modo attesta che il mito cortese ripreso da Wagner, ossia il Tristano, ed annotato su una pagina della Turandot da Puccini (“poi il Tristano”, testuale, dopo la morte di Liù); sopravvive al tempo e dipinge un amore impossibile in Occidente che tuttora non trova lisi. La catarsi certamente si, da un'altra donna, Liù, la schiava del Re dei Tartari, Timur – commovente Riccardo Fassi nella parte -, innamoratasi di Calaf, il Principe straniero che scioglierà gli enigmi di Turandot senza rivelare il suo nome. Enigma su enigma, nomen omen, che riprende anche il wagneriano racconto del cigno, Lohengrin, che termina tragicamente sulla richiesta inopportuna del nome, il dramma di Turandot ruota appunto intorno alla mancanza di fiducia di lei nell'amore e nella maledizione dell'Ava di cui si fa carico e personificazione.
La musica stessa si infrange sulle parole perentorie, le poche che proferisce sono di condanna e la voce scura di Anna Netrebko profonde come da un'oscurità immane, perduta nell'averno del tempo. Solo Calaf, - il ben ardito compagno della star russa, Yusif Eyvazov, soprattutto nell'aria notturna che seguirà poi, “Nessun dorma”, acclamato per un bis del pubblico a rifarlo con applausi a scroscio -, prova a distoglierla dal suo isolamento dentro una torre di ferro fra statue di terracotta, una prigione che l'allestimento storico di Franco Zeffirelli riproduce con sontuosità arricchendo di alti scaloni, parate simboliche dietro cui scompare lei stessa Turandot, figlia dell'Imperatore cinese Altoum, il bravo Carlo Bosi nel ruolo.
Quella che però permane come una voce sincera fra le asperità del nugolo di fumo da cui nasce e dove ritorna Turandot dopo aver emesso la condanna, è sempre la Liù di Ruth Iniesta: commovente e attoriale nel canto e nelle movenze affrante, merita un palco d'onore solo lei. Marco Armiliato ha ben esaltato l'Orchestra della Fondazione Arena che conosce benissimo questo repertorio, cesellando la partitura pucciniana ricca di cineserie e di variazioni quasi d'avanguardia; così il Coro diretto da Ulisse Trabacchin, con la sua convincente prova.
Rimangono gli enigmi, anche quelli sciolti da Calaf, di Turandot, perché, nonostante il sacrificio di Liù, il duetto pensato da Puccini e realizzato da Alfano non sembra sciogliere del tutto la Principessa,- a cui Calaf si rivolge giustamente come "Principessa di morte" - che non sembra aver pietà, piuttosto sbalordimento per il dono d'amore di Liù verso Calaf, non rivelando il nome di lui, forse rimanendo, nonostante tutto, prigioniera, anche in questo lungo finale. Turandot appare ferma, gelata dalla vittoria d'amore di Calaf, nonostante il bacio sotto la luna piena, che splendeva sul palcoscenico come una provvida amante.
Grandissimo successo di pubblico ed Arena colma di gente: scroscio di applausi alla sfilata di tutti i cantanti e del Coro.