Supporta Gothic Network
Babel a Villa Adriana. La geometria dei neuroni specchio
Il nuovo lavoro di Sidi Larbi Cherkaoui insieme a Damien Jalet al Festival di Villa Adriana a Tivoli del 16 e 17 luglio 2010 per la Fondazione Musica per Roma, si compone di un dittico di scene che ricostruiscono i tasselli della Torre di Babele della comunicazione. Il titolo omonimo Babel (sottotitolo words, in minuscolo), riconduce ai primevi passi del linguaggio dei gesti, sincronico e basilare, sincero e coerente, una Storia dell’amore, nella parole danzate di Cherkaoui e Jalet, che ri-unisce i corpi e conferisce loro senso.
I suoni ritmati orientali arabeggianti irrorano di ritmo il palco sui cui sono adagiate delle figure geometriche: rettangoli, quadrati, parallelepipedi dai quali i ballerini entrano ed escono in una sorta di labirinto che non dà spiegazioni fino all’apparizione della bambola meccanica, fil rouge della nostra geometria della scoperta dell’altro da sé. La consulenza musicale di Alexandra Gilbert ha portato dietro al palco i musicisti Patrizia Bovi, Mahaboub Khan, Sattar Khan, Christine Leboutte, Gabriele Miracle, Shogo Yoshii (Kodo), che scandiscono l’apparizione/sparizione del conduttore del gioco, è lui che spiega sinotticamente la teoria dei neuroni-specchio (in inglese con sottotitoli in italiano), imitazione e risposta ai gesti dell’altro.
Tra le sagome infinite di Escher e la lira celtica che vibra dietro le colonne, si ordinano i diciotto ballerini babelici come la danza: altrettanti paesi (13 per l’esattezza dai cinque continenti) da cui provengono, si sciolgono nei linguaggi esposti in sonorità, tanto a presentare l’estraneità composita attraverso le parole, tanto a non significare che riconosciuti pregiudizi che stillano dalle dicerie sui popoli.
Qui si insedia un dialogo a due, dopo l’aeroporto, emblema primario della vuota fissità dei comportamenti stilati dalla burocrazia, delle domande già scritte e delle risposte aspettate: la bambola meccanica ed il primitivo hanno un approccio. Lui le si avvicina sgomento e impaurito tentanto di toccarla, di avere un rapporto senza dire una parola appunto, nemmeno coi gesti. Lei si ritrae, lui riprova, e la rimprovera in francese: “A te un mese fa andava bene (questo rapporto solo sessuale e fisico, N.d.R.), adesso perché mi rifiuti?” Continua lo stesso tipo di approccio e lei gli si concede, ma ad un certo punto lo spinge via e si mette a piangere. Lui stigmatizza: “Ecco, questo è il solito ed ipocrita comportamento delle donne quando vogliono ricattarti emotivamente”. Lei risponde dopo un po’: “I’m not afraid of Tomorrow because I know Yesterday and I love Today” (non ho paura del domani perché conosco lo ieri e amo l’oggi, trad.mia).
La storia dell’amore è una storia di gesti provenienti dal cuore, non dettati dalla paura, che allontana e ghermisce, irretendo la geometria dell’unione, la forma di conoscenza per cui si percepisce l’altro nella sua essenza di senso: la Torre di Babele della comunicazione, come nella Biblioteca omonima di Borges, dove i libri contengono tutto il sapere e dove il tempo per leggerli è infinito ed eterno, come la biblioteca. Un luogo che rimanda alle parole della bambola, dove Borges e l’Eliot dei Four Quartets (pubblicati tra 1935 e 1942) si incontrano:
Il tempo presente e quello passato
Sono forse entrambi presenti nel futuro,
Ed il futuro contenuto nel passato.
Se tutto il tempo è eternamente presente
Tutto il tempo non è estinguibile.
(Time present and time past/ Are both perhaps present in time future,/ And time future contained in time past./ If all time is eternally present/ All time is unredeemable. Dal primo dei Quattro Quartetti, Burnt Norton, 1935, trad. mia).