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Basilicata coast to coast. Il viaggio come terapia anche in cinematografia
Nel calcio, si dice da sempre, il centrocampo rappresenta l’ossatura della squadra, copre il mediano, rilancia l’attacco, ha funzione di regia e di sostegno. E’ la cosa più difficile da fare: dirigere, essere l’occhio vigile sugli altri per farli esprimere al meglio senza esserne il limite. Ogni attore vorrebbe avere un regista che lo osserva, lo dirige ma gli passa anche la palla per vedere se va in goal da solo. A Rocco Papaleo questo è riuscito con Basilicata coast to coast: si è messo la maglia numero 10, quella di Pelè, di Mazzola, di Maradona e lo ha fatto con l’umiltà e la modestia che comunica come personaggio dello spettacolo e anche come uomo, facendo e facendo fare goal.
Basilicata coast to coast è un road movie cioè un film che si sviluppa attorno alla strada, un genere cinematografico che trova il suo archetipo nel libro di Jack Kerouak On the road. Il viaggio diventa il detonatore, l’enzima catalizzatore delle esperienze dei personaggi che vivono una nuova dimensione a causa della loro condizione di viaggiatori fisici e mentali ed assumendo il valore di terapia spesso collettiva, dove i personaggi sono costretti a rivedere le proprie posizioni e spesso cambiarle drasticamente. Un uomo tranquillo come Jean Louis Trintignant incontrando il tifone Vittorio Gassman in una calda domenica d’agosto impara lentamente ad assaporare la vita ma a carissimo prezzo in Il sorpasso, il capolavoro di Dino Risi; Diego Abatantuono attraversa Francia, Spagna e Marocco alla ricerca dell’amico perduto anche per ritrovare se stesso in Marrakesh Express di Salvatores, solo per citarne alcuni.
Il significato del road movie si è profondamente modificato nel tempo e nell’era della globalizzazione dei cellulari e dei pc non è facile pensare ad un viaggio avventura come quello di Easy riders; il "viaggio", inteso come crescita personale, si è trasformato da formula base del film, ad ingrediente narrativo e così la Basilicata splendida e misconosciuta terra bagnata da due mari, diventa il teatro del primo riuscitissimo film di Rocco Papaleo.
La storia semplice ed avvincente racconta di un gruppo di amici che da ragazzi erano una band di provincia (adesso sono un attore, un professore di matematica, un tabaccaio ed un falegname) sciolta da più di dieci anni che si riunisce all’idea di partecipare al festival del teatro-canzone di Policoro. Maratea Policoro, una distanza che nell’era moderna si copre in un’ora di guida, diventa la misura con cui rapportarsi, un viaggio da fare a piedi in dieci giorni, per fare quello che non si fa più: parlare, conoscersi, vivere delle avventure, superare delle difficoltà.
Basilicata coast to coast è il racconto dell’umanità di questi personaggi, ed il viaggio è l’ingrediente fondamentale di una storia densa di imprevisti e di incontri rocamboleschi attraverso i quali Rocco Papaleo disegna dei personaggi semplici e convincenti che seguono delle strade alternative, metafora di diversi modi di vivere la vita, su uno sfondo rurale incontaminato ed apparentemente dimenticato dal tempo.
La sfida del gruppo è quella di compiere il viaggio con il minimo indispensabile, poco cibo, due tende da campo e, cosa più importante, gli strumenti musicali collante di tutto il film. Il viaggio, con la sua lentezza, sarà l’occasione per provare le canzoni per il festival, esibendosi nei paesi che via via incontreranno e dove si fermeranno a dormire lungo la strada.
La Basilicata che viene mostrata nel film emana una bellezza struggente ed il momento forse più bello del film è a Craco, il paese attualmente disabitato che fu evacuato negli anni ‘60 per il rischio frane, dove Rocco fa dire al suo personaggio che “non ha retto alla modernità” o forse come gli e ci piace pensare “l’ha solo rifiutata”.
Il film non è un rifiuto della modernità ma una dolcissima riflessione su quanto spesso la modernità ci allontani da quanto veramente ci piace fare in funzione della comodità. Film come Basilicata coast to coast - senza alcuna retorica - ci servono per ricordarci quanto è bello scoprire e fare le cose, vivere le proprie passioni, sentirsi ed essere vivi per poter diventare vecchi con qualcosa da raccontare e mantenendo la luce negli occhi al contrario di altri vecchi che, non sapendo cosa dire, parlano solo del tempo. Il film, come ci dice Rocco, è un'opera corale dove tutti hanno aggiunto qualcosa di importante al risultato: qui una parte dell’intervista rilasciata dall’autore:
Giovanni Battaglia. Nel tuo film la modernità o meglio la percezione della modernità mi sembra un tema centrale nel film…
Rocco Papaleo. La nostra percezione del passato è sempre influenzata dal fatto che eravamo ragazzi quindi stavamo vivendo un momento straordinario della nostra esistenza per cui il nostro sguardo nostalgico al passato può anche essere fuorviante. Io volevo anche mostrare la mia terra, la Basilicata, che è una terra molto arcaica, poco popolata, e per certi versi rimasta integra rispetto ai cambiamenti del tempo.
Giovanni Battaglia. Come hai scelto gli attori?
Rocco Papaleo. Sono quasi tutti grandi amici: Max Gazzè è davvero un vecchio amico, ci conosciamo da vent’anni e frequentavamo Il locale, un posto straordinario a Roma, dove si faceva ottima musica ed io ero affascinato dalle sue teorie. Devo dire che Max è un tipetto davero interessante… Anche Alessandro Gassman è un amico di vecchia data: ci siamo sempre seguiti a distanza ed abbiamo condiviso molte tappe importanti della nostra vita insieme. Siamo diventati padri entrambi quasi nello stesso momento e ci stimiamo molto. Paolo Briguglia invece lo conoscevo meno, l’ho cercato io perché avevo visto dei sui lavori a teatro che mi erano piaciuti molto, l’ho trovato un attore esplosivo.
Giovanni Battaglia. Il racconto di Babbo Natale che fa Giovanna Mezzogiorno mi è piaciuto molto: come è nato?
Rocco Papaleo. Quello è tutto un lavoro di Giovanna Mezzogiorno, che è una mia grande amica e provocatrice (nel senso che mi spinge a darmi da fare), io avevo scritto un altro pezzo che però abbiamo giudicato troppo didascalico e Giovanna mi ha proposto questo pezzetto scritto da lei che mi è piaciuto di più e l’ho inserito.
Giovanni Battaglia. Bella prova di libertà…
Rocco Papaleo. Io come regista ho cercato di fare come il trequartista nel calcio, ho cercato di incanalare le energie degli attori facendoli sentire liberi ma allo stesso tempo protetti, non so se ci sono riuscito ma volevo che le singolarità di questo grande cast di attori emergessero. Credo che mi abbia premiato questa scelta perché loro sono stati straordinari: hanno dato tantissimo e senza di loro non sarei stato capace di fare questo film. Volevo uscire dal minimalismo, il film doveva risultare naturale nei miei intenti ma allo stesso tempo molto costruito, non abbiamo mai improvvisato e tutto era molto codificato, e grazie alla professionalità degli attori il tutto è stato molto naturale.