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La civetta e la talpa. Hegel metaforologico secondo Bodei
La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel di Remo Bodei venne pubblicato per la prima volta nel 1975: ora ricompare, a distanza di quasi 40 anni, uno dei saggi più innovativi e suggestivi sul pensiero di Hegel, tra quelli apparsi in Italia.
Quando uscì la prima edizione, si era in un’epoca in cui gli studi su Hegel risentivano in modo profondo del clima politico-culturale dell’epoca, in cui le varie versioni del marxismo erano la parte dominante. Le indagini in lingua italiana su Hegel si potevano allora dividere in tre gruppi fondamentali: quelle di marca neoidealista, che risentivano dell’eredità di Spaventa, Croce e Gentile; quelle di tipo storico-filologico, che si preoccupavano essenzialmente delle articolazioni interne dei testi hegeliani e delle fonti testuali; e quelle di indirizzo marxista, che leggevano Hegel alla luce di Marx e dei suoi continuatori, da Lukács a Marcuse fino alla Scuola di Francoforte.
Il libro di Bodei, pur tenendo conto di queste linee interpretative, si presentava come un contributo innovativo, perché prendeva in considerazione apporti esegetici fino ad allora poco noti in Italia, dal marxismo “eretico” di Ernst Bloch alla metaforologia di Hans Blumenberg, dagli studi anglo-americani e tedeschi sulla Naturphilosophie ai contributi francesi di matrice post-esistenzialista e strutturalista. Ma tutti questi contributi trovavano nel libro di Bodei una sintesi che univa all’acribia interpretativa una chiarezza del dettato e una scorrevolezza inconsuete: colpiva il lettore soprattutto il fatto che il libro, pur vertendo su Hegel, non era scritto in “hegelese” o in un altro gergo di matrice parimenti oscura, come invece accadeva con altri studi usciti in Italia od oltralpe nei medesimi anni.
Come sottolinea lo stesso autore nella nuova introduzione, uno dei compiti che si era prefisso consisteva “nello scrostare dall’immagine di Hegel i principali pregiudizi e banalità che vi avevano depositato, in una sequenza di strati successivi, interpretazioni, anche illustri, ma false, distorte o frettolose”. Il punto di partenza dell’interpretazione di Bodei stava quindi (e sta tuttora) nel porre una serie di domande cruciali e ineludibili a partire dalla definizione hegeliana della filosofia come “il proprio tempo appreso col pensiero”.
Questa definizione induce l’autore a rispondere ad interrogativi sul significato dell’espressione “pensare il proprio tempo”; si tratta quindi di spiegare come si configuri la concretezza del presente attraverso la sua trascrizione in concetti. E che cosa implichi per Hegel definire gli anni in cui ha vissuto “i più ricchi che la storia universale abbia avuto”. Rispondere a questi interrogativi vuol dire, per Bodei, innanzitutto riflettere in modo non banale sulla cosiddetta filosofia della storia di Hegel, o meglio sull’isomorfismo tra la struttura sistematica della sua filosofia e il campo dei mutamenti storici.
È qui che compare la metafora che dà il titolo al libro ponendo un singolare dualismo: la civetta, che in una pagina del 1820 dei Lineamenti di filosofia del diritto funge da termine di paragone per la filosofia, in quanto animale sacro a Minerva (die Eule der Minerva; e non a caso la Hegel Society of America ha come organo ufficiale una rivista chiamata The Owl of Minerva) che spicca il suo volo sul far del crepuscolo, ossia giunge troppo tardi rispetto al costituirsi autonomo della realtà, rinunciando a trasformare il mondo perché predilige l’attitudine contemplativa. E la talpa dello «spirito» (di origine shakespeariana. Cfr. Hamlet, atto I, scena 5°: "Well said, old mole! Canst work i' th' earth so fast?), poi ripresa da Marx, che invece scuote e trasforma le fondamenta della sua epoca mediante un lavorio quasi cieco, rivolto teleologicamente a un fine ignoto agli stessi protagonisti della storia presente. Si profila così una dicotomia tra la filosofia che sembra solo contemplare senza agire e la storia, che sembra invece fare senza vedere.
Afferma Bodei che “ogni filosofia, compresa la sua, è secondo Hegel rivoluzionaria, nel senso che, con la potenza del concetto, sottrae forza all’esistente, e presenta, in alternativa, un «mondo nuovo» razionale che accelera la distruzione del vecchio”. E in questo contesto, il libro del 1975, come la sua riedizione, mirano essenzialmente a fornire gli strumenti per rendere leggibile il sistema hegeliano svincolandolo da presupposti che lo ancoravano a tratti di rigidità che sembravano confinarlo a una funzione quasi consolatoria, ossia quella di ricomporre il sapere in una unità senza fratture di contro alla divisione del lavoro scientifico della sua epoca, e della nostra.
Così Bodei, pur concentrandosi soprattutto sullo Hegel “sistematico”, dal 1807 al 1831, cerca di spezzare l’incantesimo per cui si tendeva a contrapporre uno Hegel giovanile, fresco e attento al mutare della storia, a uno Hegel “maturo”, paranoico e sclerotizzato in un sistema che aveva assunto quasi i tratti di una camicia di forza caricaturale, indossata da un fanatico che vuole ridurre tutta la realtà a una dimensione panlogista dove non c’è spazio per le pulsazioni del pensiero vivente.
Forte di questa ispirazione, Bodei riprende le fila annodate nella precedente edizione, approfondendo ulteriormente alcuni temi in cui la filosofia di Hegel si rapporta maggiormente al pensiero contemporaneo, come il significato della dialettica, il ruolo dell’analisi infinitesimale (che fa giustizia dei pregiudizi, di matrice crociana, ma anche francofortese, per cui il pensiero di Hegel vedesse di malocchio la matematica), delle scienze naturali e della psichiatria, la connessione tra il tempo e l’eternità, il rapporto tra individuo, società civile e Stato. Il tutto con un occhio di riguardo per le tematiche che si sono presentate negli ultimi decenni nell’ambito dei processi di globalizzazione, ossia per quelle relative al lavoro e alla miseria in una civiltà dominata dalle macchine e dal capitale.
Soffermandoci ora su alcuni spunti contenuti nei vari capitoli, ci sembrano di grande interesse le pagine del capitolo primo (“La civetta e la talpa”) dedicate a sottolineare come la filosofia sia nemica degli antichi ordinamenti e costituisca un pericolo per gli Stati, sicché molti filosofi (come Socrate, Giordano Bruno e Giulio Cesare Vanini; o anche Cicerone, Seneca, Boezio; in tempi successivi si potrebbero includere Piero Gobetti, Rosa Luxemburg, Moritz Schlick, Antonio Gramsci, Walter Benjamin, Giovanni Gentile, Dietrich Bonhoeffer, Alan Turing) sono diventate figure tragiche, espiando con la vita il “peccato” di aver contribuito alla dissoluzione di un popolo.
Ciò perché mediante il pensiero veniva sottratta la forza al “positivo” e perfino costruzioni statali cadevano vittima della furia dissolutrice della filosofia. I filosofi si innalzano spesso al di sopra del destino del loro tempo, assumendo su di loro la croce delle contraddizioni e dell’immoralità del proprio tempo. Hegel usa la metafora della “rosa nella croce del presente” (di origine alchemica) per designare la riconquista della libertà soggettiva che dovrebbe consentire il superamento di questa immoralità. Di grande significato sono anche le pagine in cui Bodei ricostruisce il controverso rapporto tra Hegel e la rivoluzione francese, poi riprese in altri studi dello stesso autore (come Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, del 1987).