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Il dolore di Duras al Valle con la Melato. Il lancinante divincolarsi del tempo
Ho letto Il dolore di Marguerite Duras quando ero ancora adolescente e mi ha colpito molto per l’estrema asciuttezza del linguaggio (l’ho letto in francese come esercizio agli esami di maturità) riverberata in modo essenziale dall’adattamento teatrale di Massimo Luconi. Al Teatro Valle di Roma dall’11 al 23 maggio 2010, il Teatro Stabile di Genova in collaborazione con Maggio Musicale Fiorentino, presenta questo testo affilato, nell’interpretazione lancinante di Mariangela Melato.
La scena è buia: libri ammucchiati insieme a delle scarpe – simboliche di viaggi e percorsi interiori avanti e indietro nel proprio ridotto spazio – attorno al tronco disteso di un albero. La testa non si vedrà che in una parte dello spettacolo, in pieno climax. La versione italiana di Laura Guarino e Giovanni Mariotti recupera il testo nella sua scabra sostanzialità di diario sottratto alla polvere degli anni e ritrovato per essere pubblicato solo nel 1985.
Gli anni tra 1944 e ’45 Marguerite Duras compilerà e cesellerà con le parole aride del dolore per la deportazione del marito Robert Antelme a Dachau, queste pagine della sua sopportazione (entrata nella resistenza antinazista nel 1943 con a capo François Mitterand), per l’attesa spasmodica di una sorte che lascia completamente inermi. Tra i flussi bu e arancione del colore, tra la datazione dei giorni, 22, 24, 27 aprile 1945, che come bombe crollano gli uni sugli altri senza alcuna notizia, si dipinge l’attesa di tutte le donne del mondo in un momento particolare della storia come lo è quello della guerra. Donne che prendono il posto degli uomini, che fanno il lavoro degli uomini, che hanno nella loro mente e nel loro cuore soltanto l’amore e la speranza di “un sorriso nel buio di un tunnel” (dal testo della pièce).
L’albero con la sua testa appare: i rami e le radici distese e divincolantisi sul fondo del palcoscenico sembrano abbracciare o stritolare la protagonista con i loro prolungamenti. La abbracciano quando la speranza è al suo culmine, la stritolano nella certezza che Robert si sia fermato per sempre dove i treni arrivano colmi di anime e si svuotano ad ogni sosta di alito umano.
Mariangela Melato ha reso un'interpretazione superba e convinta del testo ringraziando il pubblico per la sua partecipazione emotiva ad un dramma che coinvolge chiunque, perché non vi è necessità di essere colpiti dalla guerra per osservare i territori delle sue prospettive detritiche: un lungo corridoio nero e raggi di indaco come unica consolazione. L’albero di Dalì col suo tempo appeso ad un ramo saluta da lontano il viaggiatore, assicurandogli una buona sosta, sarà lui a dover fare i conti con Bergson ed i due tempi di marcia, a lui scegliere fra interiore ed esteriore, alternandoli, l’uno dipende dall’altro.