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Fausta Garavini racconta la vita di un pittore misterioso
Nella storia della cultura vi sono state figure di grandi artisti la cui esistenza è avvolta dal mistero, poiché sono esigue e inconsistenti le notizie biografiche. Fausta Garavini, studiosa di letteratura francese e scrittrice raffinatissima, ha scritto un libro di grande bellezza per raccontare la vicenda umana e intellettuale di Monsù Desiderio, il cui vero nome era François de Nomé, con cui è ricordato nella storia dell’arte occidentale (Le vite di Monsù Desiderio, Milano, Bompiani, 2014).
Il libro si apre con una scena memorabile, in cui un ricco esponente dell'aristocrazia napoletana si reca nei pressi della bottega di Monsù Desiderio, giacché ha il desiderio di commissionargli un dipinto. L’aristocratico apprende, non senza provare amarezza e sconcerto, che Monsù Desiderio ha abbandonato Napoli, per rientrare nella sua terra d’origine, a Metz nella Loira.
Il libro colpisce e coinvolge il lettore per la grande bravura con cui l’autrice, nel ricostruire la vicenda umana del pittore di origine francese, ha saputo rappresentare e descrivere un periodo e un'epoca creando un grande affresco storico, sicchè è possibile conoscere quanto accadeva a Roma e a Napoli tra il 1602 e il 16024. Infatti, nel corso di questi anni, è avvenuta prima la formazione a Roma di Monsù Desiderio, e, in seguito, a Napoli questo grande pittore ha concepito e realizzato i suoi memorabili e insoliti dipinti, intrisi di significati simbolici e allegorici molto complicati e di difficile interpretazione e decifrazione.
Monsù Desiderio nasce a Metz in Francia, città della Loira, nella quale assiste, durante i suoi primi anni di vita, al conflitto che divideva aspramente i cattolici dai protestanti. Rimasto orfano, viene educato da uno zio, che lo esorta a studiare il Vecchio Testamento. Per l’educazione ricevuta fin da piccolo, nella sua vita avrà una grande attenzione verso i temi spirituali e filosofici. Dopo che si è manifestata precocemente la sua vocazione per la pittura, Monsù Desiderio abbandona la sua città e decide, come accadeva in quel periodo storico a tutti gli artisti francesi e fiamminghi, di raggiungere Roma, per frequentare una bottega.
Lavora e si forma nella bottega del maestro Baldassarre. In questo periodo, quello della adolescenza, Monsù Desiderio rimane sconvolto nel constatare che il fasto e la ricchezza avvolgono e circondano in modo sfacciato e impudente la corte pontificia, mentre il popolo sprofonda nella miseria e nella sofferenza. Roma gli appare come una nuova Babilonia, in cui allignano i vizi e l’avidità di potere e di ricchezza. In particolare viene colpito dalle diseguaglianze economiche che separano gli aristocratici dal popolo. Proprio a Roma, dove ancora non si è spenta la eco che ha avuto il processo e la condanna al rogo di Giordano Bruno, decise dalla Inquisizione, Monsù Desiderio scopre sia il pensiero ermetico di Ermete Trismegisto sia quello di Giordano Bruno. In particolare frequentando il maestro Adamo Elsheimer, Monsù Desiderio comprende che esiste una filosofia naturale, sicché Dio riluce ed è presente in ogni ente naturale. Secondo questa dottrina, vi è una sorta di identità tra la filosofia naturale e la ragione umana, da cui deriva la verità del cristianesimo.
Infatti tutto è racchiuso nella natura. Dopo avere acquisito il suo stile e completato il periodo della formazione artistica, Monsù Desiderio lascia Roma e si trasferisce a Napoli. In questa città, dove vive dal 1610 al 1624, egli lavora nella bottega di Louise Croys. In questo periodo della sua vita, l’artista riesce a capire quale rapporto debba esserci tra la pittura e l’immaginazione. Il pittore, secondo la concezione maturata da questo grande artista, non deve raffigurare il visibile, ma, grazie alla immaginazione e alla fantasia, deve conferire una forma definita e riconoscibile alla visioni che si generano nella sua vita interiore. La pittura, in tal modo, assume un senso, poiché è intrisa del pensiero dell’artista che le ha dato una forma e una immagine intellegibile.
A Napoli, città nella quale Monsù Desiderio sposa Isabella, figlia di Luise Croys, il maestro della bottega dove lavora, vengono eseguiti i maggiori dipinti di questo artista. Come Fausta Garavini osserva nel suo delizioso libro, Monsù Desiderio non vuole rappresentare il suo tempo e il passato, poiché nei suoi grandi dipinti, alcuni dei quali sono riprodotti nel libro, rappresenta la provvisorietà della materia e l’illusoria pretesa umana che le opere terrene siano destinate a durate in eterno e per sempre. Spesso nei suoi dipinti, in una luce spettrale e coperta da una patina irreale e giallognola, vengono mostrate architetture squassate dal tempo, che sono in procinto di crollare e disfarsi.
Infatti Monsù Desiderio visse in un tempo storico in cui tutto ciò che veniva costruito era destinato, in poco tempo, ad essere disfatto e modificato. Si tratta di monumenti antichi, di chiese, di palazzi, diversi per stili architettonici ed epoche storiche, travolti e annientati dal tempo, che testimoniano come le opere dell’uomo siano soggette alla caducità e prossime all’annullamento. Nei dipinti, i cui soggetti sono ispirati a Monsù Desiderio dalla lettura della Bibbia e in particolare del Vecchio Testamento, sono visibili i riferimenti simbolici sia alla oppressione spagnola, a cui era soggetto il popolo napoletano nel Seicento, sia alla idea che i culti religiosi si mescolano e confondono lungo i secoli.
Il culto di Iside e Osiride, quello di Mitra, quelli dichiaratamente legati al paganesimo, ed altri si possono trovare richiamati in modo simbolico nei suoi grandi dipinti. Monsù Desiderio, nella città di Napoli incontra e conosce intellettuali legati alla corrente filosofica dell’Ermetismo, come il mago ed il commediografo Giacomo della Porta, autore della commedia Georgio. Proprio l’incontro con Giacomo della Porta consente a Monsù Desiderio di capire la importanza della visione della religione maturata da Tommaso Campanella, che, nel periodo in cui il pittore francese visse a Napoli, si trovava rinchiuso a Castel Nuovo, poiché era accusato di propugnare idee eretiche.
Per Campanella, che in seguito sarà costretto a ritrattare le sue idee, Cristo non era un vero Dio, giacché il divino è presente unicamente nella natura, che si offre ai nostri sensi mortali. Monsù Desiderio, dopo la morte di sua moglie Isabella, avvenuta nel corso del parto, abbandona per sempre la città di Napoli e ritorna in Francia. Come ricorda Fausta Garavina, in questo libro dalla prosa elegante traboccante erudizione e sapienza stilistica, le sue opere sono state confuse ingiustamente con quelle realizzate da Didier Barra. Un libro geniale, grazie al quale è possibile scoprire e conoscere la figura di un sommo genio dell’arte e del pensiero umano. Imperdibile per la sua bellezza e importanza.